Alias

Le anime di Claudio Rocchi

Le anime di Claudio RocchiClaudio Rocchi

Ricordi/Dieci anni fa se ne andava il «George Harrison d’Italia» È stato uno dei nostri cantautori più ispirati. Un libro lo omaggia

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

Il George Harrison d’Italia, negli anni Settanta e poi per diverse decadi a venire, a partire dagli Ottanta, quando l’Italia illividita dai colori acidi dei «paninari» non ne voleva più sapere di ricerca interiore, si chiamava Claudio Rocchi. Portato via dagli dei del suo personalissimo pantheon ecumenico e creaturale esattamente dieci anni fa, forse invidiosi di vedere ancora attivo, sorridente e dolcissimo un uomo di sessantadue anni molto malato, progressivamente immobilizzato, per nulla preoccupato della propria e transitoria sorte fisica, Claudio Rocchi è stato il profumo d’Oriente, l’India dei viaggi a caccia di altre realtà e di illuminazioni mistiche, ma non solo questo. Troppo facile far scattare la trappola delle definizioni per un musicista e una persona di pensiero che è stato ben più che la somma di molti percorsi nella vita, tanti quanti il destino gli ha riservato nelle mille capriole che riserva alle persone. E alcune di queste persone, lo sappiamo bene, sanno vivere cinque vite in una, e senza alcun sospetto di superomismo. Semmai, hanno un carico ulteriore di umanità.

OSSERVATORE
Musicista sperimentale, produttore, autore e conduttore radiofonico e di colonne sonore, uomo di spirito e dello spirito, attento osservatore (senza ombra di cinismo né tentazioni reducistiche o facili distinguo ex post) della disillusione subentrata alla crisi del Movimento del ’77. E poi infaticabile ricercatore di verità che sapeva cogliere in un sorriso, in una manipolazione avventurosa di nastri, in una nuova avventura d’arte e di pensiero. Quando se n’è andato, una decade fa, nel primo mese d’estate, quarantatré anni dopo aver inciso il primo disco a suo nome, era riuscito a completare, pur molto malato, un lavoro di una bellezza struggente e poderosa assieme con l’amico Gianni Maroccolo, un percorso artistico completamente diverso dal suo con Litfiba e Csi. Il disco è Vdb23/Nulla è andato perso. Un lavoro dipanato su tempi lunghi e testi lunghissimi, quasi un riepilogo, un testamento sereno in cui si guardano in faccia le tappe della vita e si sublima il tutto in una luce abbagliante, esattamente come si dice sia successo quando se ne andava George Harrison. Il tutto risolto in una session bruciante ed estrema cui parteciparono Franco Battiato e Piero Pelù, Cristina Donà e Massimo Zamboni, Cristiano Godano e tanti altri per la meravigliosa, psichedelica Rinascere Hugs Suite.
Disco nato una prima volta col il crowdfunding, e ora finalmente riproposto da Maroccolo perché tutti raccolgano qualche stilla di Claudio Rocchi. Mancava in Italia, un libro che ricostruisse il percorso straordinariamente vario e articolato di Claudio Rocchi, troppo spesso ricordato solo per la carica spirituale, a rischio di finire nella riserva indiana di un sentire «freak» tutto storicizzato in una parte del Movimento di quegli anni, quello, per intenderci, che faceva riferimento all’ala più gioiosa di Lotta Continua e a Re Nudo, ai raduni libertari. E con il singolare paradosso che, invece, Claudio Rocchi aveva avuto una prima testimonianza discografica con quanto di più lontano si possa trovare dal rapporto diretto con persone, animali e natura, misticismo e Oriente: gli Stormy Six de Le idee di oggi per la musica di domani, il gruppo militante nato in una Milano assediata da grevi rigurgiti fascisti. Il gruppo di Dante Di Nanni e Stalingrado, progressivamente affinatosi dalla pura canzone di lotta a clamoroso ensemble canterburiano e di ricerca, nell’onda del «rock in opposition». Ma negli inizi, quelli più militanti, c’era il primo Rocchi: suonava il basso.

GIOCO DI RELAZIONI
Il libro che non c’era c’è ora, per il decennale della scomparsa terrena di Claudio Rocchi, e si intitola Essenza. Vite di Claudio Rocchi, lo pubblica Caissa Italia editore, ne è autore Walter Gatti, firma storica del giornalismo musicale (e non solo) con decenni di esperienza. Esperienza che alla lettura del testo riverbera immediatamente nelle pagine: e per la qualità della scrittura, limpida e fattuale, e perché basta dare un’occhiata alle fonti consultate, in coda al volume, spesso assai rare, e si avrà il senso di una ricerca condotta al riparo da ogni tentativo di semplificazione, o dal wikipedismo imperante che esonera, apparentemente, dalla fatica del cercare, unire, trovare connessioni che a prima vista non si scorgono. Il gioco di relazioni, di incontri, di «sliding doors» che ha intessuto la trama della breve, intensissima vita di Claudio Rocchi è stato un vortice quieto e impetuoso al medesimo tempo. Lasciamolo raccontare a lui, in un’intervista del 2011 opportunamente recuperata nel libro da Gatti: «Feci un’intervista per un quotidiano nazionale nel 2011 che titolava più o meno Le cinque vite di Claudio Rocchi, raccontavo di una vita da studente, una seconda da aspirante rockstar, una terza da aspirante santo indù, una quarta da aspirante professionista tra broadcast, media e business immobiliare. La quinta era quella in cui rientravo allora, per una serie di benedette concorrenze tra Amore e Ispirazione, di musicista ritrovato con voglia di concerti e energia per farli. Poi arrivò la sesta. Una grave malattia alle ossa mi faceva malato terminale pur continuando io, di fatto, tra stampelle e bastoni, a fare finta di niente e guidare in su per mari e autostrade a fare i miei concerti». Claudio Rocchi, ci ricorda Gatti, è stato l’uomo che ha ascoltato Jimi Hendrix e il Festival dell’Isola di Wight, il beat coi capelli lunghi in una Milano livida rischiarata proprio dalla luce di persone come lui, ha fatto conoscere Il profeta di Gibran e le massime sapienziali di Lao Tze, è stato priore in una comunità Hare Krishna e fondatore di una radio in Nepal, è stato autore di colonne sonore sperimentali e mille altre cose. Ed è importante che nel testo di Gatti molta attenzione sia riservata al periodo meno conosciuto di Rocchi, quello che dagli anni Ottanta porta al 2013. Certo, per tanti Rocchi resta l’autore di memorabili canzoni dilatate di folk psichedelico ineffabile che, riascoltate oggi, restituiscono profumo e senso di un’altra epoca: La realtà non esiste, La tua prima luna, Certa Puglia, Volo magico. Ma che Rocchi ci sia e continui a esserci lo testimoniano anche due dischi tributo (L’ottava vita e Una fotografia) e continue riedizioni della sua opera. Purtroppo, a tutt’oggi, non integrali. Lui prenderebbe il tutto con un sorriso, e forse userebbe le parole di un suo brano di mezzo secolo fa a lungo inedito: «Prendila bene, cambi vestito, entri nel nuovo. Morte sì, ma solo di quello che è usato. Prendila bene, sai, tutto muta, pensaci adesso. Muore uno col tuo nome e tu cambi vita. La morte è la porta che guida all’uscita, l’entrata è la vita. Entrata ed uscita».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento