Lo scorso 3 maggio il Tar del Lazio si è pronunciato sul ricorso presentato dalle organizzazioni ClientEarth e la Lega italiana protezione uccelli (Lipu) a ottobre 2022 contro la Regione sull’inadempienza da parte dell’amministrazione verso la conservazione del territorio del lago di Vico. La sentenza non ha accontentato le associazioni ambientaliste, che si sono rivolte al Consiglio di stato per risolvere il caso. ClientEarth e Lipu accusano la regione di non aver adempiuto agli obblighi previsti dall’Unione Europea nelle direttive habitat, acqua potabile e nitrati.

«Il lago di Vico è un lago limpido su cui si specchiano il Monte Fogliano e il Monte Venere, un territorio che la storia vuole originato da una vivace attività vulcanica»: così si legge sul portale online del turismo per Viterbo. Ma se ci si avvicina al bacino, un tempo perla della Tuscia viterbese, in determinati periodi dell’anno ci si accorgerà che l’acqua si tinge di rosso. Questo è dovuto alla contaminazione del sottosuolo provocata dall’uso eccessivo di fertilizzanti che vengono usati nelle coltivazioni circostanti, soprattutto noccioleti, e che scatena lo sviluppo e la fioritura delle alghe presenti nel lago. Il fenomeno viene chiamato eutrofizzazione, vale a dire l’immissione incontrollata di nutrienti, in questo caso chimici, come nitrati e fosfati che fa riprodurre la flora lacustre in maniera così elevata da togliere l’ossigeno nell’acqua, così da rendendere il lago sterile. Inoltre, i due comuni limitrofi di Ronciglione e Caprarola che si affidavano al lago per il proprio approvvigionamento idrico hanno dovuto dichiarare l’acqua non più potabile.

È COSÌ CHE NEL 2022 le organizzazioni per la protezione dell’ambiente ClientEarth e Lipu hanno deciso di fare ricorso contro la Regione Lazio per non aver preservato un territorio inserito nel progetto europeo Natura 2000. Le aree naturali sotto questa iniziativa sono state scelte in quanto hanno al loro interno degli «ambienti e fauna di interesse comunitario gli Stati membri hanno l’obbligo di prendere tutte le misure necessarie a prevenire e contrastare il degrado degli habitat protetti, come – nel caso di Vico – le comunità vegetali presenti nel lago» spiega Giorgia Gaibani di Lipu. Il lago di Vico è entrato in Natura 2000 nel 2006 ma «già da decenni, o comunque almeno a partire da tale data, si assiste a un deterioramento di questi habitat progressivo e costante, alla luce del quale è evidente che non sono stati rispettati gli obblighi che ci chiede l’Europa in ambito di habitat, oltre che di acqua potabile e nitrati. Questo è ciò che contestiamo alla Regione», continua. In particolare, le disposizioni per acqua potabile e nitrati richiedono alle autorità competenti di evitare contaminazioni che alterino le fonti di approvvigionamento delle acque per le zone abitate circostanti e la creazione di zone vulnerabili ai nitrati (ZVN) così da adottare misure contro l’impatto ambientale provocato dall’agricoltura intensiva.

NEI PRIMI CONTENZIOSI CLIENT EARTH aveva ritenuto che le autorità locali e la regione avessero l’obbligo di elaborare insieme all’associazione regionale di protezione ambientale (Arpa) e all’Azienda sanitaria locale (Asl) un piano contro le tossine derivate dall’agricoltura intensiva che rendono l’acqua non potabile e danneggiano il sito Natura 2000. Di tutte le autorità chiamate in causa, solo la Asl di Viterbo ha risposto riconoscendo lo stato di degrado dell’area ma affermando che non aveva la competenza per intervenire. Già nel 2020 infatti era arrivata una delibera della Giunta regionale del Lazio che poneva le acque del lago di Vico nella categoria A3, specificando che «tali acque possono essere utilizzate, in via eccezionale, solo qualora non sia possibile ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e solo dopo opportuno trattamento».

IL 12 OTTOBRE SCORSO LE ORGANIZZAZIONI hanno deciso di fare ricorso al Tar del Lazio per forzare una risposta da parte delle autorità locali. Tuttavia, dei tre campi in questione il Tar ha accolto solo il ricorso sui nitrati, convalidando l’obbligo della regione a stabilire una ZVN per il lago di Vico, «ma rimane una risposta vaga e non si hanno ancora misure specifiche per la zona», afferma Francesco Maletto, giurista di ClientEarth. «Il giudice non è entrato nel merito: ha affermato che una risposta da parte delle autorità è arrivata – in riferimento alla comunicazione su tutt’altra materia della Regione sugli habitat – ma di fatto non ha dichiarato la responsabilità della regione per l’attuazione delle misure previste dalla normativa europea per contrastare la fioritura algale», ha precisato Maletto.

PER QUESTO MOTIVO LE ORGANIZZAZIONI hanno deciso di proseguire la battaglia legale e portare il caso di fronte al Consiglio di stato. Alle radici del problema, spiegano, ci sarebbe l’assenza dell’amministrazione regionale, consapevole da anni dei rischi per ambiente e persone ma incapace di prendere decisioni nell’immediato. «Dov’è la tutela giuridica del cittadino di fronte all’amministrazione se la giustizia non interviene nel merito?» si chiede Lara Fornabaio, giurista di ClientEarth. «L’incapacità delle autorità italiane di proteggere questo sito e la sua biodiversità mette a rischio la salute dei cittadini e dell’intera comunità. Non solo: è dovere delle pubbliche amministrazioni assicurarsi che le loro terre si conservino intatte nel loro potenziale» conclude.

QUESTO DISCORSO NON È LIMITATO AL LAGO di Vico in sé. Già dal 2015 l’Italia è sotto procedura d’infrazione (la 2015/2163) in Europa per non aver adempiuto alla direttiva europea prevista da Natura 2000 per la designazione delle misure di conservazione richieste dopo aver identificato i siti di interesse comunitario in Italia. Nel 2023 la Commissione ha inviato un parere motivato con cui si prende atto dell’inadempienza e si chiede urgentemente di attenersi alle norme vigenti, con la speranza che l’Italia inizi a proteggere le proprie fonti d’acqua. «Già si vedono segni di miglioramento», afferma Gaibani, «in questi ultimi tempi molte regioni stanno adottando misure di conservazione specifiche».

NELLE TERRE DEL LAGO DI VICO si coltiva principalmente la nocciola, una coltivazione tradizionale che negli anni è andata crescendo per via dell’aumento della domanda nel mercato, soprattutto da parte di grandi multinazionali come la Ferrero, fino a invadere le colline della Tuscia sotto forma di monocoltura. Ma se da un lato non ci si può aspettare che delle aziende private limitino in maniera autonoma le proprie attività a discapito dei profitti personali, d’altra parte le istituzioni comunali e regionali dovrebbero essere i moderatori di una frizione sempre più crescente tra le spinte del mercato internazionale e i movimenti di conservazione degli ecosistemi locali. Il 21 settembre ci sarà l’udienza al Consiglio di Stato, che si esprimerà sulla questione.