Lazio, verso il flop la sfiducia a Zingaretti. I 5 stelle ci ripensano
Democrack/Primarie Pd Congresso dem, il presidente del Lazio ancora in testa ai sondaggi. E nel nuovo regolamento spunta una norma «anticontenzioso». Serve un segretario scelto dagli elettori. Se sarà eletto in assemblea c’è il rischio di vecchi riti che danno l’idea di un partito imploso e chiuso in se stesso
Democrack/Primarie Pd Congresso dem, il presidente del Lazio ancora in testa ai sondaggi. E nel nuovo regolamento spunta una norma «anticontenzioso». Serve un segretario scelto dagli elettori. Se sarà eletto in assemblea c’è il rischio di vecchi riti che danno l’idea di un partito imploso e chiuso in se stesso
I venti di crisi che spiravano sulla regione Lazio, in curiosa concomitanza con l’avvio del congresso Pd, smettono di soffiare. Almeno rallentano. Dopo la mozione di sfiducia depositata dalle destre, a cui in un primo momento sembravano volersi accodare i 5 stelle, ieri il Messaggero riferiva dell’ultimatum dei grillini al presidente Zingaretti: o l’ingresso in giunta o il sì alla mozione. In realtà alla riunione di lunedì pomeriggio i pentastellati si sono ritrovati spaccati a metà, ma tutti consapevoli che la crisi della giunta – e il conseguente voto – sarebbero un assist ai leghisti in crescita anche qui.
La diplomazia sotterranea di Zingaretti ha fatto il resto. Oggi alle due si riunirà la conferenza dei capigruppo per la calendarizzazione in aula della mozione. Ma con ogni probabilità oggi stesso arriverà qualche defezione al fronte della sfiducia. Che nei 5 stelle ci fosse area di retromarcia, dopo il sì di getto di Roberta Lombardi, si capiva già ieri. E infatti i Fratelli d’Italia inferociti hanno chiesto ai pentastellati di chiarirsi. «L’ipotesi di un possibile contratto di governo tra 5 Stelle e Pd alla Pisana sulla scia di quello stretto con i nordisti a palazzo Chigi mette i brividi», ha commentato Fabio Rampelli, vicepresidente della camera e sempre capo politico di quel pezzo di destra radicale romana.
Nessun accordo fra Zingaretti e M5S, dunque. Ma il fatto che possa essere considerato possibile, anche solo in ipotesi di stampa, racconta che il presidente del Lazio è l’unico candidato alle primarie in grado di allargare i consensi fuori dal Pd in direzione, se non proprio 5 stelle, almeno degli ex elettori Pd che si sono buttati su Grillo. La cosa potrebbe tornare utile ai gazebo.
Ieri intanto la direzione Pd ha approvato il regolamento e la road map delle assise. Nessuna anticipazione della data: le primarie si terranno domenica 3 marzo. Le firme a sostegno delle candidature dovranno essere depositate entro il 12 dicembre. Congressi dei circoli dal 7 al 23 gennaio, convenzioni provinciali il week end successivo e infine, il 2 febbraio, la convenzione nazionale che proclamerà i candidati che passeranno al turno dei gazebo.
Favorito nel voto del partito viene considerato Marco Minniti, mentre Zingaretti lo è nel voto «aperto» delle primarie. Ma le distanze nei sondaggi si accorciano. Secondo Bimedia fra i due siamo già al testa a testa: il presidente del Lazio raccoglie il 40 per cento dei voti inseguito da Minniti già al 38 con una corsa di fatto ancora non iniziata. Secondo questa rilevazione l’ex segretario Maurizio Martina si attesta al 9. Troppo presto, secondo l’istituto, testare il peso della confluenza con Matteo Richetti. Seguono al 2 per cento Cesare Damiano (boatos danno prossimo al ritiro, anche lui a favore di Martina) e Francesco Boccia, all’1 Dario Corallo. Troppo presto anche per rilevare i consensi di Maria Saladino, l’ultima arrivata in ordine di tempo.
Zingaretti punta soprattutto sul voto dei gazebo. E sa che i movimenti per ingrossare le file di Martina puntano al terzo tempo: un segretario eletto in assemblea, dopo primarie in cui nessuno riesce a superare quota 50. «Un segretario eletto così sarebbe sciagura, con rischio di vecchi riti che darebbero l’idea di un partito imploso e chiuso in se stesso», ha detto ieri da Padova Zingaretti, «io mi batto affinché siano le persone con le primarie ad eleggere ai gazebo il nuovo segretario nazionale, perché abbiamo bisogno di una figura che abbia il supporto degli elettori».
Il rischio di un’elezione pasticciata è già chiarissimo al Nazareno. E infatti ieri nel regolamento ha debuttato un comma segno evidente dei timori che agitano il Pd: i candidati «si impegnano a riconoscere i risultati delle riunioni di circolo e delle elezioni primarie, come certificati dalla Commissione nazionale per il Congresso e dalla Commissione nazionale di garanzia». E anche a deferire ogni controversia «esclusivamente agli organi previsti dal presente regolamento» cioè la commissione per il congresso e quella di garanzia.
Non alla magistratura ordinaria insomma. Una precauzione che le altre volte era considerata «implicita». Stavolta no. E questo già dice tutto.
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