Alias Domenica

L’avvento del poema sinfonico

Heinrich Ignaz Franz BiberHeinrich Ignaz Franz Biber

Improvvisi Inventario delle opere che hanno mutato i paradigmi della musica d’arte: puntata 9

Pubblicato 11 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

Raccontare una storia non è la «specialità», né la vocazione principale, della musica d’arte. Lo ha fatto, certo, e continua a farlo, ma il più delle volte appoggiandosi sulle spalle della parola: libretti d’opera, poesie, romanzi, testi, poemi. Il verbum, però, in sé per sé, non appartiene al dominio del suono. Come ha intuito un grande linguista del Novecento, André Martinet, la musica non possiede infatti la cosiddetta «doppia articolazione», ossia la distinzione tra significante e significato: è, al contrario, significante puro e ciò rende improprio l’atto stesso della narrazione. Eppure, la tentazione di descrivere, evocare, richiamare, sognare altri mondi, lontani dal regno dei suoni, senza ricorrere al sostegno della parola, non ha mai abbandonato i compositori occidentali. A cominciare da Heinrich von Biber, che nel 1673, con la sua celeberrima Battalia a 10, nella quale gli archi «preparati» imitano, letteralmente, i suoni di una battaglia immaginaria. E poi Händel, che nella Fireworks Music del 1748 evoca il suono dei fuochi d’artificio ricorrendo all’organico folle di 24 oboi, 12 fagotti, 9 corni e sei timpani, e ancora Haydn che nel finale delle
Sette ultime parole di Cristo rende concreto, fisico il terrae motum con il quale la Terra piange e lamenta
la morte di Gesù sulla croce.

Per non dire, poi, di Vivaldi, Beethoven, Berlioz, Dvorak… Ma lungo questa catena di opere storiche che Roberto Favero in uno studio esemplare, Musiche per immagini, definisce «brani che suonando descrivono mondi», si incontra, in un momento ben definito, un evidentissimo punto di rottura. La svolta la possiamo collocare tra il 1848 e il 1849 quando Franz Liszt – che allora si trovava a Weimar come maestro della Cappella di corte – scrive un’opera apparentemente minore, destinata però a svolgere un ruolo storico determinante: Ce qu’on entende sur la montagne. È un pezzo per orchestra in un solo movimento, della durata di trenta di minuti, il cui titolo proviene dal poema Feuilles d’automne di Victor Hugo. Pochi mesi dopo Liszt dirige nel suo Teatro un’altra opera destinata a ben diversa fama: Les Préludes che possiede più o meno lo stesso carattere: grande orchestra, movimento unico e anche in questo caso un titolo che rimanda a una fonte letteraria, ossia una ode di Alphonse de Lamartine intitolata Nouvelles méditations poétiques. Sulle prime Liszt è indeciso circa la definizione da attribuire alle sue nuove creature: la prima la chiama Bergsymphonie, mentre per la seconda si affida al termine tradizionale di «Ouverture». Nomi antichi, per oggetti che sono appena usciti dalla sua bottega. E allora lentamente si fa strada una parola mai apparsa prima: Tondichtung. È ciò che in italiano si traduce, sbrigativamente, «poema sinfonico», ma che in tedesco possiede risonanze semantiche molto più ricche: ton si traduce con «suono» (che sia sinfonico o meno è del tutto arbitrario), dichtung sta invece per poesia o per arte poetica, non necessariamente compresa nel genere del poema.

La perifrasi corretta è allora «opera sonora di carattere poetico». Definizione macchinosa, certo, ma è esattamente questa l’idea che Liszt ha in mente quando mette mano, negli anni successivi, agli altri suoi undici «poemi sinfonici», l’ultimo dei quali, Dalla culla alla tomba, è del 1882. Quale è, dunque, il loro minimo comun denominatore? Anzitutto, la presenza di un «programma letterario» che il compositore scrive di proprio pugno e che fa consegnare agli spettatori all’ingresso del teatro. In secondo luogo, il processo compositivo che si basa su due caratteri fondanti: la ciclicità dei temi principali e la tecnica della «variazione continua», che assicurano al tessuto tematico una costante metamorfosi. Ed è proprio questo procedimento a distinguere il Tondichtung di Liszt dai suoi vetusti antenati: la «musica a programma» e la «musica descrittiva». Anche questa, a suo modo, è stata una «rivoluzione».

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