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Lavoro, un nuovo Patto per il Pd

Lavoro, un nuovo Patto per il PdEnrico Letta è il segretario del Pd – LaPresse

1 maggio Gli auguri al manifesto del segretario del Pd, con un articolo sull'importanza del lavoro e un nuovo impegno - anche autocritico - per tutto il suo partito

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 1 maggio 2021

Oggi, 1° maggio, c’è poco da festeggiare. Piuttosto, l’unico modo davvero onesto per onorare questa giornata è parlare il linguaggio della verità e ragionare su come ricostruire sul lavoro l’Italia del dopo Covid.

Il lavoro delle donne, prima di tutto, per il quale siamo penultimi in Europa, davanti solo alla Grecia. E quello dei giovani, per cui, notizia di ieri, siamo ancora penultimi in Europa – peggio di noi solo la Spagna – con un tasso di disoccupazione giovanile pari ormai al 33%, un terzo esatto del totale.

Anzitutto a loro – donne e giovani – sentiamo il dovere di restituire un orizzonte di fiducia. Possiamo farlo subito, a partire dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia alla Commissione Europea, che contiene una clausola trasversale di premialità che può letteralmente rivoluzionare il volto dell’occupazione nel nostro Paese.

Vogliamo concentrarci sui bisogni delle persone e dimostrare di aver capito cosa avviene fuori dalla bolla della politica. Un impegno che dovrebbe assumere chiunque abbia incarichi nella sfera pubblica, ma a maggior ragione chi guida il più grande partito della sinistra in un tempo tormentato come questo. Io lo assumo, fino in fondo.

Nella bolla arriva solo l’eco del disagio: è lontano.

E ciò a dispetto dell’impegno di chi, come il manifesto, da mezzo secolo lo racconta con passione e sempre dalla parte dei più deboli.

La verità è che nella bolla puoi avere gli strumenti di decodifica della società più avanzati, ma la tua lettura sarà sempre, almeno in parte, condizionata dalla distanza. Questa distanza ho avuto la fortuna di poterla attenuare.

Degli anni accanto ai giovani, ragazzi di davvero tutte le provenienze sociali e le aspirazioni, porto in dote un’eredità di speranza, ma anche il peso di una profonda frustrazione.

Accanto ad esperienze di successo, anche molte storie di sacrificio e delusione, incertezza di vita e privazione. A ripensarci, tra le tante colpe delle nostre generazioni, questa è la più grave: aver spezzato il nesso tra sacrificio, ricompensa e soddisfazione, contribuendo a ingenerare in quelle successive la sfiducia nella capacità del sistema di offrire la dignità del lavoro, percorsi decorosi di realizzazione, forme di protezione sociale dagli imprevisti e dalla cadute.

Non lo abbiamo fatto nei decenni che abbiamo alle spalle e ne portiamo la responsabilità, personale e come collettività. Ora possiamo, almeno parzialmente, recuperare.

La pandemia, con il congelamento di ogni attività economica, ha acuito questa sfiducia, aggravando le difficoltà di chi già era vulnerabile e, al tempo stesso, allargando l’area del disagio a chi si sentiva al riparo. Per questo il compito della ricostruzione che ci aspetta sarà così gravoso. E per questo la missione delle forze progressiste di tutto il mondo è oggi, prima di ogni altra cosa, essere capaci di dare risposte a chi è più in difficoltà.

Senza aver paura del conflitto sociale, ma entrandovi davvero, per comprendere le necessità e costruire le soluzioni più efficaci.

È un’esigenza avvertita, con intensità diverse, ovunque nel modo occidentale.

Il Presidente americano Joe Biden in una notte ha sovvertito trent’anni di impostazione politico-culturale democratica: «L’economia a cascata non ha mai funzionato». Non ha funzionato il taglio delle tasse ai super-ricchi, non ha funzionato la fiducia cieca nel mercato senza regole e senza protezione.

Non ha funzionato, qui da noi, l’idea che investire tutto sulla locomotiva, su chi già sta bene, su chi è performante ed efficiente, possa giovare al resto della società e del Paese. Se non si investe davvero sui vagoni e sui binari, se non si ha cura di chi sta indietro, se non si fa una manutenzione intelligente delle politiche pubbliche per chi lavora e chi fa impresa, il treno non solo viaggia a rilento, ma rischia di deragliare.

Dunque, siamo dentro un passaggio d’epoca, dentro un cambio di paradigma.

In Italia il Pnrr è la più straordinaria occasione di riscrivere il modello di sviluppo del nostro Paese all’insegna della sostenibilità, della inclusione e quindi della competitività.

La connessione tra questi tre fattori è – oggi più che in ogni altra fase delle nostre vite – inscindibile. Dei miliardi e miliardi di euro che arriveranno dall’Europa e che, come sistema, dovremo essere in grado di spendere fino in fondo, forse, più ancora dei saldi e delle singole allocazioni, a contare saranno il metodo e la visione.

Proprio per questo, come Pd abbiamo fortemente premuto per l’inserimento di una clausola di premialità per l’occupazione di giovani e donne.

Che vuol dire?

Vuol dire che gli investimenti del Piano saranno subordinati al rispetto di una quota per il lavoro di donne e giovani. Vuol dire che per 6 anni questo obbligo potrà letteralmente cambiare i connotati dell’occupazione, soprattutto al Sud. Vuol dire che il lavoro sarà la condizione, oltreché l’obiettivo del rilancio dell’Italia.

Un rilancio che obbliga tutte le forze politiche a uno sforzo collettivo senza forse precedenti nell’ultimo secolo. Per questo al governo, in parallelo all’attuazione del Pnrr, chiediamo di farsi motore di un grande «Patto per la Ricostruzione e il Lavoro».

Con i partiti, con i sindacati e le associazioni di categoria, con i territori, con la società civile: tutti investiti di una responsabilità storica, tutti chiamati a un impegno condiviso. Per il bene e il futuro del nostro Paese.

Enrico Letta è il segretario del Pd

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