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Lavoro ed esclusione sociale, una sfida per la Cgil

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Sinistra Il reddito minimo fa irruzione nel congresso del sindacato «rosso», ancorato a una visione novecentesca del welfare state

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 4 aprile 2014

Dalla crisi si può uscire soltanto con un modello alternativo di sviluppo basato sulla sostenibilità sociale e ambientale. Per queste ragioni occorre rovesciare i vecchi paradigmi ed affrontare le contraddizioni che derivano dai cambiamenti epocali e globali nei processi economici che mettono in discussione i vecchi compromessi tra capitale e lavoro e tra economia e democrazia. La liquidazione sociale delle nuove generazioni, la distruzione dello stato sociale, la riduzione dei salari e dei diritti, la disoccupazione di massa e la precarietà sono i pilastri dell’attuale modello neoliberista. Il lavoro, che dovrebbe essere la principale fonte di identità e libertà, in realtà si è trasformato in merce,spogliato di ogni dignità e valore sociale. L’offerta di lavoro sarà destinata a rimanere molto più alta dell’ offerta e se l’obiettivo della piena e buona occupazione rimane fondamentale per affermare una società inclusiva, così come riproposto nel piano del lavoro della Cgil, non si può ignorare che avanza, in maniera impetuosa, l’esclusione dal lavoro e dal reddito per milioni di persone. Non c’è più nemmeno una relazione tra l’aumento della produzione e la crescita dell’occupazione ed anzi si possono fare più profitti e più produzione riducendo il lavoro e pagandolo sempre meno. Esplode di conseguenza la povertà. Una povertà che a volte è miseria assoluta, altre volte significa non poter far fronte alle spese impreviste, dipendere fino all’età avanzata dalle famiglie, o non poter sostenere i propri figli nei loro percorsi di studio e di vita.
Per queste ragioni nella discussione congressuale della Cgil, con un emendamento al documento «il lavoro decide il futuro», insieme a Maurizio Landini, Nicola Nicolosi e altri abbiamo proposto l’introduzione nel nostro Paese di un reddito minimo garantito come misura di contrasto alla povertà, di liberazione dal ricatto dal lavoro precario, per chi si trova in uno stato di disoccupazione o in occupazione, per l’accesso al sapere.
Questa misura, insieme ad una legge nazionale sul diritto allo studio e all’estensione degli ammortizzatori sociali, deve essere l’architrave per politiche di welfare universalistiche. Il reddito minimo garantito è una della condizioni per riunificare il mondo del lavoro, per garantire a tutti il diritto al sapere, per ristabilire un giusto equilibrio tra reddito e lavoro garantendo spazi di autonomia e libertà senza dei quali non ci potrà mai essere cittadinanza. Deve essere inteso come diritto individuale e essere integrato da servizi finalizzati a orientamento e formazione, ricerca di occupazione, cura e prevenzione della salute, istruzione per i minori fino al completamento dell’obbligo scolastico.
Non è semplice affrontare temi di questa complessità nella Cgil, troppo influenzata da vecchie impostazioni di welfare legato solo alle prestazioni lavorative che sono del tutto inadeguate proprio perché disoccupazione, barriere nell’accesso al sapere, precarietà e lavori poveri rendono le protezioni sociali assicurate a fasce sempre più ristrette di persone.
Se la Cgil vuole continuare ad essere sindacato confederale e generale, deve riuscire a tenere insieme lavoro ed esclusione sociale ricostruendo legami sociali e solidarietà. Bisogna prendere coscienza che alla crisi della rappresentanza sociale bisogna rispondere con scelte contrattuali e rivendicative coraggiose, finalizzate a ricomporre e unificare ciò che la crisi frammenta e divide, garantendo a tutti condizioni di vita e di lavoro dignitose.

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