Visioni

L’avanguardia arcaica dell’Africa vista dai Balcani

L’avanguardia arcaica dell’Africa vista dai Balcani

Note sparse «I Can Be a Clay Snapper», l’opera seconda del trio sloveno Sirok

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 18 aprile 2018

Il folk in questo lavoro prezioso è forma aperta, vasto regno dell’immaginario, pilastro su cui si reggono miracolosamente costruzioni solide ma in punta di dita, favolose ed iperreali. Ipnosi circolare, ricerca timbrica, spazi sterminati, melodie ignote eppure così intimamente familiari. I Can Be a Clay Snapper è l’opera seconda per questo trio sloveno con base sulle colline vicino Lubjana. Banjo, balafon, oggetti vari, violino, viola, ribab, cünbüs, ngoma, mizmar, voce, percussioni, bras, gongoma e mizmar sono gli strumenti che vengono utilizzati per creare questi veri e propri mondi, un mood che sa di minimalismo e di Africa vista dai Balcani: intimi e commossi dialoghi tra corde, con un incedere arioso e suoni bellissimi, un tasso di originalità molto elevato e composizioni che rapiscono.

Sinfonie in miniatura che sono veri e propri scrigni colmi di tesori, dalle vaghe spezie arabe nelle fioriture degli archi ai vortici percussivi che paiono una rivisitazione esteuropea del gamelan indonesiano, dai contrappunti à la Steve Reich a voci e melodie che sanno di steppa leopardiana. Un folk antico e futuribile, in acrobatico equilibrio tra riduzionismo acustico e afflato orchestrale, colmo delle voci sorprendenti degli strumenti autocostruiti à la Harry Partch e di un mood ancestrale . Pura avanguardia arcaica, capace di portare chi ascolta in un altrove magnifico e possibile.

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