L’autonomia sospetta del Coni, uno stato nello stato
Sport Il 13 maggio si vota per la presidenza dell'ente pubblico. A sfidare Giovanni Malagò per la prima volta una donna: Antonella Bellutti
Sport Il 13 maggio si vota per la presidenza dell'ente pubblico. A sfidare Giovanni Malagò per la prima volta una donna: Antonella Bellutti
Il prossimo 13 maggio si rinnova la presidenza del Coni e, come per tutto ciò che riguarda il mondo dello sport, la scelta dei media e in primis della Rai di privilegiare il calcio e i grandi eventi, tacendo ricadute e interessi lontani dallo sport ma ricchi di ramificazioni sul piano sociale, politico e culturale non ci permette di capire la posta in gioco; posta non da poco poiché si tratta del funzionamento del Coni – ente pubblico – e dello svolgimento del suo compito istituzionale: lo sport come servizio pubblico per tutti.
Un esempio recente di quanto fuorviante possa essere tale parziale e frammentaria informazione è la firma in extremis del decreto «Salva autonomia» da parte di Giuseppe Conte dimissionario, pena, secondo Malagò, una sanzione del CIO che avrebbe vietato agli azzurri di presentarsi ai Giochi olimpici con la bandiera e l’inno nazionale. Il contenzioso col CIO effettivamente c’era ma, visti i tempi lunghi delle sue deliberazioni comunque precedute da ammonimenti, quello che non c’era era l’urgenza.
O meglio, per il Coni – da oltre un secolo unico attore della scena sportiva italiana – l’urgenza consisteva nel riappropriarsi di quanto toltogli dalla confusa distribuzione di competenze tra Coni, Sport&Salute Spa (azionista unico è il Ministero dell’economia e delle Finanze) e il dipartimento per lo sport del governo. Quindi l’oggetto del contendere riguardava l’attribuzione delle competenze oggetto del decreto, compresa la legittima necessità dello Stato – invisa al Coni – di vigilare sull’uso dei fondi pubblici (480 milioni di euro annui) che, fino ad allora, aveva gestito in autonomia.
IL FATTO STA CHE È GRAZIE all’autonomia di cui gode che, negli anni, il Coni è divenuto uno stato nello stato con un indotto dal bilancio annuale di 50 miliardi di euro, cioè 3 punti di PIL, con un proprio sistema giudiziario, approvato a suo tempo dal parlamento, ma poi nei fatti stravolto sia con norme capestro che obbligano gli atleti iscritti alle Federazioni sportive ad adire tribunali a loro dedicati, sia con una propria normazione e amministrazione della giustizia sportiva; a tal punto che, qualche anno fa, il procuratore generale, l’ex generale dei Carabinieri, Enrico Cataldi – noto per la lotta al terrorismo e alla mafia – si dimise dichiarando: «Ho dedicato la mia vita alla giustizia seguendo anche casi difficilissimi, ma nello sport l’impresa è superiore alle mie forze».
Collegati fra loro, questi e non pochi altri aspetti del mondo dello sport mi colpiscono per la loro gravità e per le loro ricadute che vanno dalle discriminazioni e assenza di tutele sofferte dagli sportivi alla desolante condizione dello sport nella scuola, al rapporto opaco con le nostre istituzioni: un quadro che mi lascia assai perplessa e mi impone delle domande alle quali non ho risposta: che cosa ha reso possibile il consolidarsi di tale anomala situazione? Dal dopoguerra ad oggi, quale è stata la politica sportiva dei partiti, in particolare di quelli della sinistra?
Perché noi cittadini non siamo informati di una realtà che pure ha una doppia valenza: quella di essere di natura istituzionale, quindi indissociabile dal funzionamento della nostra democrazia e di riguardare, anche direttamente, milioni di noi ?
DUNQUE, il 13 maggio si rinnova la presidenza di questo mondo chiuso, patriarcale, dove mai una donna è stata presidente del Coni o delle Federazioni nazionali – tranne una sola recente eccezione – con presidenti anche al sesto mandato e che, grazie ai sistemi elettorali in atto, non rappresentano né le 95.000 associazioni sportive né tantomeno gli 11 milioni dei loro iscritti.
I CANDIDATI in lizza sono: Giovanni Malagò con già due mandati alle spalle, Renato di Rocco da 15 anni presidente della Federciclismo e Antonella Bellutti, laureata in scienze motorie, due medaglie d’oro olimpiche, una visione dello sport diametralmente opposta a quella degli altri due candidati, che si presenta con un programma imperniato sui principi costituzionali di diritto alla salute, di collaborazione istituzionale, di trasparenza e di rappresentatività, per uno sport che si estende dalla scuola primaria all’università e prevede il ripristino dei Centri universitari sportivi come luoghi ideali per sostituire i Gruppi Sportivi nei corpi civili dello Stato e della Difesa che sino ad ora sono stati l’improprio succedaneo alla mancata attuazione, nello sport, dei principi costituzionali di uguaglianza e di dignità del lavoro.
Antonella Bellutti mi ha proposto di essere la presidente onoraria della campagna per la sua candidatura; una volta superata la sorpresa ho acconsentito poiché il suo programma – visto da una non sportiva – riguarda la difesa della legalità istituzionale, dei diritti di lavoratori senza tutele e l’impegno di restituire allo sport per tutti il suo significato pieno, condizione indispensabile alla salute e ad un migliore stile di vita.
* Presidente onoraria della campagna «Bellutti Presidente»
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