Da che cosa è nata, da che cosa nasce l’esigenza di metterci a pensare e a lavorare attorno ad un progetto di trasformazione della società che indichi obiettivi e traguardi tali da poter e dover essere perseguiti e raggiunti nei prossimi tre-quattro anni, ma che si traducano in atti, provvedimenti, misure, che ne segnino subito l’avvio?

Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che occorre dare un senso e uno scopo a quella politica di austerità che è una scelta obbligata e duratura, e che, al tempo stesso, è una condizione di salvezza per i popoli dell’occidente, io ritengo, in linea generale, ma, in modo particolare, per il popolo italiano.

L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è cosi per noi. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato.

L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata.

Ecco, in base a quale giudizio il movimento operaio può far sua la bandiera dell’austerità? L’austerità è per i comunisti lotta effettiva contro il dato esistente, contro l’andamento spontaneo delle cose, ed è, al tempo stesso, premessa, condizione materiale per avviare il cambiamento. Cosi concepita l’austerità diventa arma di lotta moderna e aggiornata sia contro i difensori dell’ordine economico e sociale esistente, sia contro coloro che la considerano come l’unica sistemazione possibile di una società destinata organicamente a rimanere arretrata, sottosviluppata e, per giunta, sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze.

Lungi dall’essere, dunque, una concessione agli interessi dei gruppi dominanti o alle esigenze di sopravvivenza del capitalismo, l’austerità può essere una scelta che ha un avanzato, concreto contenuto di classe, può e deve essere uno dei modi attraverso cui il movimento operaio si fa portatore di un modo diverso del vivere sociale, attraverso cui lotta per affermare, nelle condizioni di oggi, i suoi antichi e sempre validi ideali di liberazione. E infatti, io credo che nelle condizioni di oggi è impensabile lottare realmente ed efficacemente per una società superiore senza muovere dalla necessità imprescindibile dell’austerità. Ma l’austerità, a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione, può essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e solidale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della società, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola, come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie oggi mortificate, disperse, sprecate.

Abbiamo richiamato in altre occasioni e anche di recente le profonde ragioni storiche, certamente non solo italiane, che rendono obbligata, e non congiunturale, una politica di austerità. Sono ragioni varie, ma occorre ricordare sempre che l’evento più importante i cui effetti non sono più reversibili, è stato e rimarrà l’ingresso sulla scena mondiale di popoli e paesi ex coloniali che si vengono liberando dalla soggezione e dal sottosviluppo a cui erano condannati dalla dominazione imperialistica. Si tratta di due terzi dell’umanità, che non tollerano più di vivere in condizioni di fame, di miseria, di emarginazione, di inferiorità rispetto ai popoli e paesi che hanno finora dominato la vita mondiale. (…) È questo moto, o almeno è principalmente questo moto, che, operando nel profondo, fa esplodere le contraddizioni di una intera fase dello sviluppo capitalistico post-bellico, e determina in singoli paesi condizioni di crisi di gravità mai raggiunta. E se può accadere, come ci è dato di constatare, che all’interno del mondo capitalistico alcune economie più forti possono trarre profitto dalla crisi e consolidare la propria posizione di dominio, per altri paesi economicamente più deboli, come l’Italia, la crisi diventa ormai un rotolare più o meno lento verso il precipizio. (…)

Ma una trasformazione rivoluzionaria può essere avviata nelle condizioni attuali solo se sa affrontare i problemi nuovi posti all’occidente dal moto di liberazione dei popoli del Terzo mondo. E ciò, secondo noi comunisti, comporta per l’occidente, e soprattutto per il nostro paese, due conseguenze fondamentali: aprirsi ad una piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi paesi e instaurare con essi una politica di cooperazione su basi di uguaglianza; abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base. Una politica di austerità non è una politica di tendenziale livellamento verso l’indigenza, ne deve essere perseguita con lo scopo di garantire la semplice sopravvivenza di un sistema economico e sociale entrato in crisi. Una politica di austerità, invece, deve avere come scopo – ed è per questo che essa può, deve essere fatta propria dal movimento operaio – quello di instaurare giustizia, efficienza, ordine, e, aggiungo, una moralità nuova.

Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta (e di necessità, per la sua stessa natura) certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e potendo cosi ricevere consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale (…).

Non voglio qui esaminare i vari provvedimenti di politica economica attuati o in preparazione da parte del governo, ne ricordare il nostro atteggiamento su di essi (…). Voglio invece ribadire una critica di ordine generale che noi comunisti continuiamo a fare, non possiamo non continuare a fare, all’azione del governo. La politica di austerità è tuttora viziata, infatti, da carenze di vigore, di coraggio e di respiro. Ad esempio: non si è saputo ancora suscitare il necessario movimento di opinione e di massa contro gli sprechi. Contro gli sprechi in senso diretto, che sono ancora enormi (si pensi all’energia o all’organizzazione sanitaria) e contro gli sprechi in senso indiretto e lato, come quelli che derivano dal lassismo nelle aziende, nelle scuole e nella pubblica amministrazione; o come quelli, qui denunciati con particolare rigore dai professori Carapezza, Nebbia, Maldonado e da altri, derivanti da imprevidenze, di cui avvertiamo oggi tutto il peso, e da errori enormi compiuti nella politica del suolo, del territorio, dell’ambiente; o dalla trascuratezza nel campo della ricerca. C’è tutta un’azione amplissima contro gli sprechi e per il risparmio in ogni campo che avrebbe bisogno dello stimolo, della direzione, dell’iniziativa continua di un governo che sapesse davvero esprimere l’autorevolezza politica e morale oggi indispensabile (…).

Sta qui il punto di massima differenziazione tra noi e gli esponenti governativi e i gruppi economici dominanti. In costoro, al fondo, vi è uno stato d’animo di resa, cioè qualcosa che sta agli antipodi di ciò che occorrerebbe per ottenere l’adesione convinta del popolo a certi sacrifici necessari. Il paese avrebbe bisogno, per compiere uno sforzo adeguato, di veder chiaro davanti a sé, o quanto meno di vedere chiari alcuni elementi fondamentali di una prospettiva nuova. E invece gli esponenti delle vecchie classi dominanti e molti uomini del governo, quando arrivano a tanto, non sanno andare più in là dell’obiettivo di riportare l’Italia sugli stessi binari su cui procedeva lo sviluppo economico prima della crisi (…)

La ragione principale per cui consideriamo la crisi come un’occasione, sta nel fatto che obiettivi di trasformazione e di rinnovamento come quelli che ho ricordato possono essere non solo compatibili, ma debbono e possono essere organicamente compresi dentro una politica di austerità, che è la premessa indispensabile per superare la crisi, ma andando avanti, non tornando al passato.