In Italia il suo successo più importante è stato La classe (Entre le mur 2008), che è anche il film della sua affermazione, premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes, all’unanimità dalla Giuria quella volta presieduta da Sean Penn. La storia racconta una classe di una scuola del XX arrondissment parigino, una materia che nel cinema francese continua a essere centrale, e che il suo regista dimostrava di maneggiare con l’attenzione e la sensibilità necessaria a evitare stereotipi o semplificazioni.

IL CONFRONTO tra un professore – interpretato da François Bégadeau, nel ruolo di sé stesso, il film si ispirava infatti al libro sulla sua esperienza di insegnante di francese – e i suoi allievi, che se da una parte contestavano quel dispositivo scolastico, dall’altra cercavano la conoscenza, trova equilibrio nello sguardo dell’autore Laurent Cantet, nella sua capacità di anticipare le questioni e i conflitti del suo tempo. E che nel caso di La classe, aprirono anche molte polemiche in Francia specie fra gli insegnanti che lo accusarono di avere fatto un documentario unidirezionale, quando invece lavorava pienamente sulla finzione, anche coi suoi giovani interpreti non professionisti.

Cantet è mancato ieri, aveva sessantatré anni, e un nuovo progetto sviluppato nonostante la malattia che non è riuscito a terminare. Era nato a Melle, famiglia di sinistra, l’amore per le immagini gli viene dal padre, che gli regala quando è ancora un bambino la prima macchina fotografica, insegnandogli anche le tecniche di sviluppo. A Marsiglia si iscrive a fotografia, e scopre il video. Approda all’Idhec (ora Femis), dove incontra i suoi complici di cinema più importanti, Robin Campillo che diventa il suo sceneggiatore, e Pierre Mion, direttore della fotografia di quasi tutti i suoi film. Il primo lavoro è un documentario, che Cantet gira a Beirut, durante la guerra civile libanese, Une été à Beyrouth (1990). Assistente di Marcel Ophuls per Veillées d’armes (1994), nel 1997 realizza per Arte una serie di film sul passaggio all’anno Duemila.

È GIÀ IN QUESTI suoi inizi che Cantet – definito un «regista sociale» – mostra l’attenzione che attraverserà poi il paesaggio dei suoi film per le figure umane alla ricerca di un posto nella società. E al tempo stesso verso l’ambiguità che fonda le relazioni, i rapporti di seduzione e di potere – come in Verso sud ma anche l’ultimo Arthur Rambo, ispirato al caso di Mehdi Meklat vedette dei media caduto in disgrazia dopo la scoperta di tweet razzisti e omofobi.

Sono le fratture in cui si muove Cantet, basta pensare a Risorse umane (2000), nel quale anticipa i temi e le situazioni che saranno centrali negli anni seguenti. Il figlio operaio che volta le spalle alla sua classe per organizzare i licenziamenti nella fabbrica in cui lavora il padre, che era fiero di averlo fatto studiare, esprime i cambiamenti di paradigma della lotta di classe, il nuovo liberalismo, la precarizzazione delle multinazionali e sempre in quella ricerca di un proprio spazio al mondo dei suoi personaggi. Che ritroviamo nel successivo L’emploi du temps (2001), ancora il mondo del lavoro – i due film costituiscono un ideale dittico – nella vicenda del suo protagonista che rimasto disoccupato continua a fingere con tutti, famiglia, amici, conoscenti di lavorare scivolando progressivamente in una doppiezza esistenziale che lo risucchia.