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Lauren Groff, una isola di donne ribelli alla clausura

Lauren Groff, una isola di donne ribelli alla clausuraChris Martin, «Senza titolo», 2014

Scrittrici statunitensi Bandita dalla corte della regina Eleonora d’Aquitania, la protagonista dell’ultimo romanzo di Lauren Groff progetta il labirinto di una utopia calata nel XII secolo: «Matrix», da Bompiani

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 11 settembre 2022

Con il suo immediato richiamo a uno dei cicli cinematografici che più profondamente hanno segnato l’immaginario fantascientifico del nuovo millennio, Matrix (traduzione eccellente di Tommaso Pincio, Bompiani, pp. 288, euro 19,00) – quarto romanzo di Lauren Groff, ormai da oltre un decennio emersa come una delle voci più originali e audaci della fiction americana – conferma grazie alla scelta del tema e del genere una libertà e un’ampiezza di spettro narrativo che hanno pochi corrispettivi sulla scena letteraria contemporanea. Il titolo del libro può trarre in inganno, ma è ragionevole pensare che Groff abbia scelto – proprio nel corto circuito tra il romanzo storico e una delle forme predilette della narrazione fantastica, l’utopia, – di giocare tutto l’equilibrio del libro. D’altro canto, il termine matrix è assolutamente consustanziale alla storia che ci viene raccontata: per comprenderne i motivi è essenziale fornire una breve sintesi della trama.

Tra storia e accensioni fantastiche La protagonista del romanzo è Marie de France, scrittrice e poetessa della quale si sa poco o nulla, e sulla quale, nel corso dei secoli, si è accumulata una pletora di ipotesi storiche. Vissuta nella seconda metà del XII secolo, celebre per i suoi lai – novelle in versi centrate sui temi dell’amore cortese – e per una raccolta di favole ispirate a Esopo, sulla sua vera identità si sono moltiplicate le ipotesi: c’è chi la ritiene figlia di uno studioso e letterato dell’epoca, chi sorellastra di Enrico II, chi sorella di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury. E c’è chi sostiene che Marie de France non sia mai esistita e che il suo nome abbia un valore squisitamente simbolico, nell’unire i valori spirituali del cristianesimo e l’eredità letteraria francese.

Groff ha il merito e l’intelligenza di trasformare questa sostanziale assenza di dati biografici nell’occasione per imbastire una storia di grande fascino, tutta giocata sul confine tra verosimiglianza storica e accensione fantastica. Partendo dall’unico dato semicerto (Marie sarebbe stata la badessa di un convento inglese), fa della sua protagonista una ragazza cresciuta alla corte di Eleonora di Aquitania, nata dallo stupro consumato da un membro della stirpe reale dei Plantageneti su una donna che discende direttamente dalla fata Melusina. A diciassette anni era stata spedita in un’abbazia povera, e ora vive di stenti e viene sistematicamente depredata dai possidenti – rigorosamente maschi – del circondario.

Lentamente, dopo l’iniziale rigetto nei confronti di un mondo chiuso, fondato su regole rigide e sulla sistematica negazione di quella carnalità che sembra esploderle in corpo, Marie prende in mano l’abbazia e comincia a modificarne e rivoluzionarne la missione e le abitudini: crea uno scriptorium, nel quale le sue consorelle copiano e illustrano testi sacri a prezzi concorrenziali; recupera le terre che appartengono al suo ordine e che sono state per troppo tempo appannaggio di famiglie del contado; si isola ogni giorno di più da un mondo nel quale sono i maschi a comandare, praticando un’eterodossia che culminerà nella decisione di celebrare personalmente la messa.

La storia di Marie e della sua ribellione in clausura viene accompagnata e alimentata da una scrittura elegantissima, nella quale il rigore della documentazione storica non esclude accensioni fantastiche: nella seconda parte del romanzo, a scandire le grandi innovazioni introdotte da Marie sono le sue visioni mistiche, trascritte in un libro del quale, alla sua morte, si perderanno le tracce. È grazie all’incontro con la Madonna e con Eva, progenitrice di tutte le donne, che la protagonista decide di edificare un labirinto, in grado di disorientare i visitatori come i predatori, e di trasformare l’abbazia in un’autentica «isola di donne». Ed è nella descrizione di questa visione che il titolo del romanzo trova, finalmente, la sua piena giustificazione.

Marie vede, tenuta per mano dalla Madonna, «Eva, la prima madre del genere umano… E senza il grembo di Eva – dice – che è la Casa della Morte, non potrebbe esistere il grembo di Maria, che è la Casa della Vita. Senza la prima matrix, non potrebbe esserci nessuna salvatrix, la matrix più grande di tutte».

Al di là dei fatti
Affascinante nella struttura, nell’argomentazione di fondo, nella costruzione dei personaggi (oltre a Marie, ampio spazio è dedicato alle sue consorelle, dalla rozza Goda alla pia Ruth; dalla baliva Wulfhild alla infirmatrix gallese Nest, ad Asta, con la sua «mente cristallina e meccanica» che si traduce in formidabili opere di ingegneria), Matrix funziona soprattutto, al di là della sua apparente «eccentricità», come prosecuzione ideale di una poetica basata sulla commistione tra ricerca storica e divagazione fantastica, sull’esplorazione della carnalità e del sesso come unica forza in grado di scardinare ma anche di ridisegnare il progetto di una vita, e sulla riflessione circa le utopie chiuse e il fallimento dei sogni.

Non è dunque casuale che l’epigrafe migliore per Marie e per la sua vita si trovi non in Matrix ma in Arcadia, il secondo romanzo di Groff e a tutt’oggi il suo capolavoro: «Nulla importa se la storia sia vera. Briciola manipola immagini: sa che le storie non devono basarsi su fatti concreti per essere vive. Comprende, con una sensazione simile a un vento che sconquassi una stanza, che quando perdiamo le storie a cui abbiamo creduto, perdiamo più delle storie, perdiamo noi stessi».

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