L’aumento dell’occupazione è integralmente trainato dal precariato
Istat Governo e Pd festeggiano il boom dei contratti a scadenza. Il renzismo ha ormai rinunciato ai suoi orizzonti di gloria: voleva sconfiggere il precariato, ora è soddisfatto per l’aumento del lavoro qualunque sia. Due anni fa prometteva la rinascita dei contratti a tempo indeterminato
Istat Governo e Pd festeggiano il boom dei contratti a scadenza. Il renzismo ha ormai rinunciato ai suoi orizzonti di gloria: voleva sconfiggere il precariato, ora è soddisfatto per l’aumento del lavoro qualunque sia. Due anni fa prometteva la rinascita dei contratti a tempo indeterminato
I trentaseimila occupati in più ad agosto, un mese in cui fioriscono i contratti stagionali, registrati dall’Istat ieri hanno fatto esplodere la curva renziana. Il governo, a cominciare dal presidente del Consiglio Gentiloni, ha vergato comunicati soddisfatti per il «ciclo favorevole» dell’occupazione. I dati che hanno portato Matteo Renzi a scrivere sul suo facebook che «i gufi anti-Jobs Act sono spariti» confermano invece una verità indicibile dalle parti di una maggioranza sotto stress da elezioni: la crescita dell’occupazione è trainata integralmente dai contratti a termine e precari (+1,6%), è dovuta all’occupazione femminile (+0,5%) e non modifica il gap di genere con quella maschile. Il nuovo precariato investe tutte le fasce d’età, tranne quella più colpita dalla crisi insieme ai giovani, i lavoratori tra i 35 e i 49 anni, sempre più in crisi nera. Nell’ultimo anno l’Istat ha registrato un aumento degli occupati pari a 417 mila, 350 mila sono a termine, 354 mila sono ultra-cinquantenni. È «l’effetto riforma Fornero», altro che Jobs Act.
Questa breve sventagliata di cifre basta per dimostrare che è fallito il progetto originario del Jobs Act: rendere subalterno il lavoro precario al «contratto a tutele crescenti» dove a crescere è solo la libertà di licenziare senza articolo 18. Oggi sono solo 66 mila i lavoratori, si fa per dire, «permanenti». L’occupazione prodotta nel frattempo – l’85% – è precaria, il prodotto di un’altra riforma del renzismo, ingiustamente dimenticata dai suoi corifei: quella dei contratti a termine che porta il nome del ministro del lavoro Poletti. Oggi il contratto di un dipendente precario può essere rinnovato più volte e contribuire all’aumento dell’occupazione e non dei posti di lavoro. Il dato che conferma la tendenza è quello del tasso di occupazione: il 58,2% ad agosto, con un aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente.
L’entusiasmo per la crescita mensile di un decimale è la prova della modestia nella quale si muovono il Pd e il governo. Il renzismo ha ormai rinunciato ai suoi orizzonti di gloria: se il 7 marzo 2015, quando è entrato in vigore il Jobs Act, ambiva a aumentare i farlocchi contratti a tempo indeterminato, oggi mira a aumentare il lavoro, qualunque sia il lavoro. E, visto che in Italia il lavoro è quello precario, oggi è costretto a festeggiare un risultato che nega il sedicente obiettivo di partenza della sua «riforma» simbolo.
Per arrestare una tendenza che giungerà a sostituire l’occupazione «fissa» con quella precaria, occorrerebbe perlomeno cambiare la legge Poletti sui contratti precari, ha ricordato la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti. A sei mesi dalle elezioni questo obiettivo è remoto. Nell’immediato si potrebbe evitare di continuare sulla strada della decontribuzione che non diminuisce i contratti precari come dimostrano gli ultimi tre anni. Le imprese usano i lavoratori come scorte, gonfiando gli organici in base alla domanda nella logica post-fordista del «mordi e fuggi». Ma è proprio questo che il governo farà nell’ultima legge di bilancio della legislatura.
*** Cresce il lavoro ma è sempre più precario: boom di quello a chiamata. Il punto di vista dell’Inps
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