Internazionale

Laudato si’, l’impegno della Chiesa «in difesa del creato»

Laudato si’, l’impegno della Chiesa «in difesa del creato»

Giovedì la pubblicazione della prima enciclica sull'ambiente L’Occidente, con l’aiuto colpevole di molti cristiani, ha esaltato il «dominio» sulla terra dimenticando la «custodia»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 giugno 2015

Attesa da tempo e giunta all’attenzione della stampa in maniera rocambolesca, la prima enciclica sociale di papa Francesco è destinata a lasciare il segno. Premesso che stiamo parlando di una bozza, anche se ragionevolmente non molto dissimile dal testo finale, si nota già da una prima lettura che siamo di fronte a un documento meditato, lungo e dettagliato, fino a risultare in alcune sezioni piuttosto ripetitivo.
Ispirata dal Cantico del poverello d’Assisi, la «Laudato si’» è di fatto la prima enciclica nella storia della Chiesa dedicata espressamente al problema ambientale.

Ma si inserisce in un lungo percorso di riflessione sulla questione sociale, i cui predecessori sono ricordati già nelle prime pagine. Come Giovanni XXIII, il papa sceglie un doppio interlocutore: il gregge dei fedeli e l’insieme degli «uomini di buona volontà», ai quali si rivolge per cercare insieme le soluzioni alla crisi del pianeta. A Paolo VI viene riconosciuto di aver posto per primo già nel 1971 il problema ecologico e agli ultimi due pontefici di averlo sviluppato: dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la prima a parlare esplicitamente di «difesa dei beni collettivi», alla più recente Caritas in veritate di papa Ratzinger, in larga parte incentrata sull’impegno della Chiesa in difesa del Creato. Quest’ultima categoria, del resto, rappresenta la chiave dal punto di vista teologico anche del testo di Bergoglio.

L’assunto di fondo è che la società occidentale, con il contributo colpevole anche di molti cristiani, abbia distorto l’interpretazione del racconto della Creazione esaltando la missione del «dominio» sulla terra (1,28) e dimenticando quella della «custodia» (2,15). Alla Chiesa – prosegue il papa – spetta il compito di «demitizzare» questa visione e di «porre fine al mito del progresso infinito», peraltro smentito anche dalle acquisizioni della scienza. Per i credenti, il punto di approdo sarà la «conversione ecologica», ovvero sia una nuova considerazione delle «conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo».

In una prospettiva laica e politica, tutt’altro che estranea all’enciclica, il progetto dell’«ecologia integrale» avanzato da Francesco interroga la società del tempo presente e ne illumina alcune contraddizioni. In primo luogo, il papa prende atto che il principio evangelico della «destinazione universale dei beni», sviluppato da Tommaso e poi cardine della dottrina sociale da Leone XIII in avanti, è stato assunto anche dal pensiero laico più attento alla crisi ecologica globale. Le nuove generazioni, in particolare, si mostrano coinvolte dal problema della sostenibilità, come dimostra la proliferazione di movimenti (quello per l’acqua, per esempio) ai quali la Chiesa guarda con favore.

Eppure – denuncia Bergoglio – l’inconcludenza degli ultimi vertici internazionali sul clima e sull’esaurimento delle risorse naturali sta lì a dimostrare che la subordinazione della politica al «paradigma tecno-economico» non è venuta meno, malgrado le conseguenze disastrose della crisi finanziaria del 2007-2008. Al contrario, l’emergenza delle migrazioni e l’aumento della miseria costituiscono la prova di una crisi ben più profonda e che tocca direttamente i fondamentali morali e civili delle nostre società.

Per Francesco, denunciare la prepotenza delle oligarchie – come il testo fa a più riprese seguendo il modello del Documento di Aparecida, la dichiarazione dell’episcopato latinoamericano del 2007 al papa particolarmente cara – non basta se alla critica al mercato senza regole non si accompagna una riflessione sull’«ecologia umana» e quindi sul collegamento tra il problema ambientale e sociale (due volti della stessa medaglia) e la deriva antropologica relativista.

In altri termini, grosso modo gli stessi di Benedetto XVI, papa Francesco individua nell’idolatria dell’Occidente il punto di crisi che tiene insieme la battaglia per la difesa della vita (contro l’aborto, la diffusione dell’ideologia gender, ecc) e quella per la difesa del Creato. La stessa lettura del potere tecnocratico sembra da questo punto risentire in alcuni punti di una valutazione più etica che economico-fattuale.
Ecco allora che anche quest’ultimo documento si inserisce pienamente nel discorso di Francesco, con la permanenza di elementi tradizionali dell’anti-secolarismo cattolico e con aperture importanti anche per chi non crede e debitrici, da un lato, delle linee guida dell’eco-teologia di Leonardo Boff e dei teologi della liberazione, dall’altro della lectio francescana: dalla funzione sociale della proprietà privata alla teorizzazione dei beni comuni, alla disattivazione del dispositivo filosofico occidentale di «dominio».

Nelle sezioni conclusive – peraltro ricche di osservazioni puntuali su gentrificazione, ripartizione della terra e diversificazione agricola, emissioni, decrescita, ecc – l’enciclica parla di un contributo di tutte le religioni a una «rivoluzione culturale» che deve essere spirituale, estetica e linguistica. É in questa prospettiva, laica e multiculturale, che lo sforzo di Francesco può e deve essere meditato anche in chiave politica.

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