C’è la Felicità interna lorda inventata da Bhutan: un indicatore ideale e un po’ ingenuo. C’è all’estremo opposto il Prodotto interno lordo (Pil): un indicatore monetario artificioso, punto di riferimento per l’illusione di una crescita infinita. Ma Giorgio Nebbia (1926-2019), docente universitario, scienziato, attivista, divulgatore, studioso dell’ecologia che deve comandare l’economia – se l’umanità vuole avere un futuro sul pianeta, ci ha lasciato uno strumento in aiuto a questo obiettivo che sa di svolta copernicana: il calcolo del Prodotto interno materiale lordo (Piml), ovvero come sottoporre l’economia ai limiti fisici e reali dei flussi di materia ed energia.

SU QUESTA CONTABILITA’ biofisica, Nebbia lavora dal lontano 1972, per approdare allo studio sui flussi di massa globali dell’economia italiana elaborati sui dati del 1995 e poi a quello relativo al Piml dell’Italia del 2000. Un lavoro scientifico innovativo, ispiratore a livello internazionale, e ripubblicato nel libro che lo storico Marino Ruzzenenti, suo amico per trent’anni e collaboratore, dedica a Nebbia.

GUIDATO DA QUESTO VIRGILIO, il saggio denso e avvincente, la cui seconda parte è una selezione antologica di scritti di Nebbia, ripercorre il periodo della formazione, la scelta della merceologia, la «primavera ecologica» sbocciata negli anni 1960, i rapporti sui limiti della crescita, Rio 1992 con lo sviluppo sostenibile, fino appunto agli studi sulla contabilità biofisica. Ecco la storia di un «grande ecologista» multidisciplinare.

NEL LIBRO SI RIPUBBLICA lo scritto Ecologia ed economia, del 1973, con il quale Nebbia motiva l’istituzione del primo corso nazionale di ecologia in una facoltà di economia (a Bari). E poi Sviluppo sostenibile, 20 anni dopo la Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano del 1972, nella quale aveva rappresentato il Vaticano da «profeta cattolico dell’ecologia» – stranamente ignorato nella recente enciclica Laudato sì.

NEBBIA RIPERCORRE il dibattito sul limite che risale a Malthus e alle critiche di Marx e dei cattolici contro il suo egoismo borghese; rimane la validità della riflessione sulla carrying capacity del pianeta, di fronte a una «corsa al progresso» che ha attirato il genere umano in varie trappole (anche tecnologiche) e alla fine lo ha fatto «affondare nelle sabbie mobili» del degrado ecologico. Dunque, il domani deve essere nella neo-economia della «società solare» (il sole: una fonte di energia che Giorgio Nebbia studiava da decenni). Occorre una «nuova saggezza ecologica» e Nebbia, scrive l’autore, «riscopre l’antica virtù cristiana della continenza nel possesso – una denominazione singolare di ciò che tanti anni dopo verrà chiamata decrescita?».

IL CONSUMISMO è un «peccato» perché sporca il pianeta e toglie agli altri. Ma non si può affidare il cambiamento ai soli stili di vita; vanno assunte politiche globali a livello dell’Onu, a cui Nebbia è attento. E siccome la crisi ecologica è crisi del bene collettivo, «soltanto una società pianificata e socialista potrebbe darsi nuove regole» compatibili con scarsità ed equità. Con Mumford, Nebbia si riferisce a un «comunismo di base». Per Nebbia era importante la distinzione fra crescita e sviluppo: quest’ultimo essendo la «soddisfazione dei bisogni essenziali di dignità, indipendenza, giustizia, libertà e vita in condizioni decenti».

UNA RIFLESSIONE CHE, spiega Ruzzenenti, «porta necessariamente a perseguire una decrescita della produzione e dei consumi nei paesi ricchi se si vuole che quelli poveri si possano emancipare dall’indigenza». Nel 2005 Giorgio Nebbia riprende il tema della decrescita ma si augura che non diventi una moda, come è stato per la «sostenibilità»; termine di cui nel 1990 aveva chiesto l’abolizione, perché depistante. L’attualità di Nebbia è scomoda, avverte l’autore: «Se, come sta avvenendo per il Pnrr italiano, ci si affida a grandi imprese e logiche di mercato, il suo lavoro può rimanere in un cassetto».