L’Atene metafisica di Konstantina Kotzamani
Incontri La regista greca racconta «Washingtonia» il documentario che viene presentato in questi giorni alla Festa di cinema del Reale di Specchia
Incontri La regista greca racconta «Washingtonia» il documentario che viene presentato in questi giorni alla Festa di cinema del Reale di Specchia
Nell’immaginazione dei più Atene è l’acropoli, l’invenzione della democrazia, i dizionari di greco aperti sul banco il giorno della versione. Ma soprattutto, in questi tempi, è il paese a cui è rivolto lo sguardo di tutto il mondo, il banco di prova dell’Europa, le file ai bancomat ed i «riots» nelle strade. Con Washingtonia, però, la regista trentaduenne Konstantina Kotzamani ci porta lontanissimo da queste immagini, ed anche probabilmente da quelle che gli stessi ateniesi hanno della loro città. Con il suo breve documentario sui generis – in concorso l’anno scorso alla Berlinale Shorts e proiettato in questi giorni alla Festa di cinema del Reale di Specchia – raffigura un’Atene metafisica e rarefatta, quasi surreale, abitata da poche anime solitarie quando il resto della città parte per le vacanze estive.
«L’idea iniziale, infatti – spiega la regista – era creare un ritratto stravagante e esotico di Atene abbandonata durante l’estate bollente. Volevo filmare delle location che mi ricordassero l’Africa, il continente del mio protagonista». Il personaggio principale e voce narrante di Washingtonia è infatti un migrante africano che lavora in una pasticceria da cui un’anziana signora ordina ogni sera la stessa torta. «C’è un trucco in Washingtonia – continua Kotzamani – il protagonista è un uomo che viene dall’Africa, che parla di Atene a sua volta filmata come se fosse l’Africa. Volevo giocare con gli stereotipi che la cultura occidentale si è creata sul concetto di estraneità». Il suo migrante, inoltre, conosce tutti i segreti delle palme. Quelle stesse palme importate in gran numero nella capitale greca durante le olimpiadi del 2004 per renderla più esotica e che oggi sono state quasi tutte sterminate dal punteruolo rosso. Tutte ad eccezione di una varietà, la Washingtonia del titolo, che come spiega la voce narrante è talmente sottile che il suo cuore striminzito non è ambito neanche dal terribile insetto infestante.
Ed il cuore, in senso letterale e metaforico, è il tema portante di Washingtonia, aperto dalle immagini di due giraffe di cui in Africa si dice, spiega ancora il migrante senza nome, che il battito del loro cuore quando si appoggiano al suolo per riposare regoli la vita di tutti gli altri animali. Ma nel pieno dell’estate il battito non è più udibile, e la vita si arresta in attesa del suo ritorno. Questi animali esotici, spiega la regista, le sono giunti in sogno: «mentre lavoravo al film ho fatto un sogno molto intenso in cui una giraffa, cercava di entrare in casa mia dalla finestra e si stava impossessando della mia mente. In seguito mi sono documentata sull’argomento, e così è nata la storia sui grandi e piccoli cuori».
Il cuore piccolo, nel film, è anche quello di una madre che sembra amare più il suo barboncino che il figlio adolescente, o quello svuotato dell’anziana signora che ordina la torta ogni sera e piange ancora oggi un amore che l’ha abbandonata. Tutti questi personaggi si muovono tra fiction e realtà: «nessuno di loro è un attore e girando non abbiamo mai fatto delle prove, per cui in un certo senso è come se recitassero se stessi», sottolinea la regista. «Mentre cercavo le location osservavo anche le persone, e provavo a raffigurarmi che personaggio sarebbe andato bene per ognuna di esse. L’unico di cui ero certa sin dal principio è il protagonista, che volevo portasse con sé delle qualità del continente africano. L’abbiamo trovato nel parco di un quartiere ateniese dove vive la maggior parte dei migranti: si chiama Piazza America».
Documentario è quindi una definizione molto restrittiva per questo breve lavoro che procede più che altro per libere e suggestive associazioni di idee: «suppongo che il reale interesse del processo di realizzazione di questo film sia racchiuso nella sua struttura metafisica. In assenza di qualsiasi sceneggiatura, ho lavorato solo con le immagini, le melodie ed i sensi, come ad esempio la percezione del calore». Così con Washingtonia Konstantina Kotzamani realizza un affresco sul cuore di un’Atene desolata ed estranea ad ogni immagine precostituita che abbiamo di essa, specialmente in questa lunga estate calda in cui la città ancora attende che il cuore della giraffa torni a far sentire il suo battito.
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