Europa

L’astensionismo e la democrazia malata

L’astensionismo e la democrazia malataSeggio elttorale – Aleandro Biagianti

L’affluenza è lievemente aumentata, facendo registrare un +0,09 %. Certamente, c’è poco da festeggiare: il dato del 43,09% resta molto basso

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 30 maggio 2014

Il temuto calo della partecipazione non c’è stato: su scala continentale, anzi, l’affluenza è lievemente aumentata, facendo registrare un +0,09 per cento. Certamente, c’è poco da festeggiare: il dato del 43,09 per cento resta molto basso, decisamente al di sotto degli standard di una democrazia in piena salute. Come metro di paragone – tratto da una democrazia che «in piena salute», sul piano della partecipazione al voto, non è – possono valere le ultime presidenziali americane: la sfida fra Barack Obama e Mitt Romney fu decisa dal 58,2 per cento dei cittadini Usa.

Il confronto con i precedenti rinnovi dell’Eurocamera, invece, vale fino a un certo punto: sul dato complessivo pesa l’aumento dei Paesi membri. Rispetto alla tornata del 2004 – la prima dopo il «grande allargamento» a 25, quindi comparabile all’Ue attuale – la diminuzione è del 2,4 per cento. Ciò che più conta, però, sono i numeri scorporati per Paese, dai quali si evince meglio il grado di «popolarità» dell’Ue, e delle sue politiche. Perché l’analisi (anche sommaria) abbia senso, non bisogna ignorare i dati relativi alle elezioni politiche in ciascuno stato, per capire se la disaffezione al voto sia un fenomeno strutturale o soltanto legato alle europee.

Fra i «grandi», il dato più sconfortante è quello della Polonia – Paese economicamente tra quelli messi meglio (crescita all’1,6 per cento nel 2013): ha votato solo il 22,7 per cento. Alle ultime politiche, votò il 49 per cento dei polacchi: l’affluenza di domenica scorsa è dunque inferiore alla metà. Un vero tonfo, se pensiamo che in Italia la metà dei votanti delle politiche del 2013 equivarrebbe al 37 per cento, mentre da noi si è recato alle urne il 57 per cento.

Interessante la partecipazione nel Regno Unito e in Francia, i due stati dove si sono affermate le forze anti-europeiste. Restando molto più bassa che alle ultime politiche, in entrambi i casi l’affluenza è aumentata (rispettivamente dell’1,5 e 3 per cento circa) rispetto alle precedenti europee: segno che Ukip e Front National hanno tradotto in schede elettorali il «no» all’Ue. Un dissenso di segno opposto, per «un’altra Europa», si è convertito in maggiore partecipazione anche in Grecia, il Paese dove è cresciuto maggiormente il numero dei votanti (se si eccettua la Lituania, dove però c’erano anche le presidenziali): +5,6 per cento, che significa un totale del 58,2 per cento, vicino al 62,5 per cento delle ultime politiche.

Significativo anche l’incremento del 4,7 per cento in Germania, che si può spiegare in parte con la presenza degli anti-euro di Alternative für Deutschland, in parte con il protagonismo di due candidati europei, Martin Schulz e Ska Keller, che hanno reso più «tedesco» il voto per Strasburgo. Un lieve aumento della partecipazione riconducibile alla protesta si registra anche in Spagna (+1 per cento): come in Grecia, anche in questo caso si tratta di un’opposizione di tutt’altro segno rispetto a quella delle destre xenofobe. Nel caso iberico, poi, ha pesato anche la questione catalana: è proprio nella regione di Barcellona, infatti, che si è avuto l’aumento più significativo.

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