Quanto ci sia della sua stravagante impulsività e quanto di freddo calcolo politico, difficile capirlo. Come accade regolarmente, quando è in azione un personaggio come Donald Trump. Certo è che nella sua dichiarazione sulla necessità di riammettere la Russia nel club dei grandi della terra c’è il senso di una svolta spettacolare. Una mossa politica molto forte che scompiglia l’agenda del G7 in corso a La Malbaie, in Canada. Fino a rendere il summit addirittura superfluo, con il numero uno del club, che potrebbe lasciare anticipatamente La Malbaie in vista dell’incontro a cui veramente tiene, con il leader nordcoreano Kim Jong Un, a Singapore. La vera foto storica di questa pazza, imprevedibile fase che vive il mondo.

«La Russia dovrebbe esserci, a questo incontro», ha detto il presidente ai cronisti alla partenza da Washington. E ancora: «Che vi piaccia o no, e può non essere politicamente corretto, ma abbiamo un mondo da gestire e nel G7, che un tempo era il G8, hanno cacciato la Russia. Dovrebbero farla rientrare, la Russia».

Non avesse calato la carta russa sul tavolo del vertice, la discussione era destinata a prendere la piega meno desiderabile per il presidente americano, solo contro tutti su gran parte dei dossier, dai dazi al clima, dall’immigrazione alla questione iraniana. Tanto che aveva confidato ai suoi consiglieri l’intenzione di non andarci proprio, al vertice.

È evidente che il tema non si riduce alla riammissione di Putin al prossimo summit, ma riguarda, da subito, la riconsiderazione del posto che deve occupare la Russia nelle faccende del mondo, non più paria della comunità internazionale da isolare e punire ma protagonista sulla scena mondiale.

Una mossa che spiazza, che costringe i big del globo a considerare secondari i punti all’ordine del giorno in Canada. Anche se la discussione sarà accesa e ricca di colpi di scena – Trump non si è risparmiato per rendere incandescente il clima del vertice prima che iniziasse, attaccando i sei partner, a cominciare dal padrone di casa Justin Trudeau – è chiaro che anche i nodi più importanti finiranno in secondo piano rispetto alla prospettiva della possibile cessazione delle sanzioni alla Russia, corollario logico della sua riammissione nel gruppo dei grandi.

Il nuovo governo italiano si è trovato in sintonia immediata con la Casa Bianca. «Sono d’accordo con il presidente Trump: la Russia dovrebbe rientrare nel G8. È nell’interesse di tutti», ha commentato su twitter il neopresidente del consiglio Giuseppe Conte, il primo e l’unico a fare da sponda a Trump.

Una finestra d’opportunità insperata per il governo appena insediato e finito sott’attacco per aver proposto la cessazione delle sanzioni a Mosca. Conte riesce così a mettere insieme due piani che, secondo l’unanimità conformistica dei commentatori nostrani, devono essere necessariamente considerati incompatibili. Antitetici. O di qua o di là. Anzi solo di qua. Un pensiero anchilosato nella logica radicata della guerra fredda continua a leggere il mondo con la lente bipolare, imponendo all’Italia un’ortodossia di campo che oggi non ha più fondamento, se mai l’ha avuto, e che ne congela tutte le potenzialità geopolitiche in un allineamento passivo a un’America che non esiste più, e a un’Alleanza atlantica che la stesso presidente americano ha definito “obsolete”.

Considerare l’attuale amministrazione statunitense con i paradigmi ossequiosi applicati a tutte quelle che l’hanno preceduta e rapportarsi con il Cremlino come se ancora ci fosse il Pcus a gestirlo è un approccio che non corrisponde alla realtà attuale e limita gravemente lo spazio di manovra di cui può disporre un paese come l’Italia, con la sua posizione strategica nel Mediterraneo e, contemporaneamente, la sua appartenenza all’Europa.

L’asse di Conte con Trump sull’apertura nei confronti di Mosca ha dunque un senso e una logica, purché non sia puramente al rimorchio delle capricciose priorità americane, tra queste un interesse evidente a sgretolare il traballante edificio europeo, un interesse condiviso peraltro dalla leadership russa. Se la mossa di Conte non è semplicemente quella del facilitatore della distensione russo-americana (non hanno bisogno di Conte Trump e Putin per normalizzare la loro relazione) rischia di essere solo una mossa servile e può prestarsi a contraccolpi imprevisti. Come sembra indicare il passo indietro dopo un vertice europeo organizzato da Macron, su una linea opposta: no alla Russia nel G8. Ma se è dentro un’operazione politica più ambiziosa e articolata – che però non è ancora stata illustrata – essa può dare un ruolo inedito di protagonista all’Italia.