Il giovane Berlusconi era tanto meglio di quello vecchio, il Presidente? Dice Carlo Freccero, uno dei suoi apostoli inquieti, che la discesa in campo fu il riciclo di tutto quello che era stato prima: lo stile della pubblicità, il linguaggio della tv commerciale, la retorica dello sport. Da giovane, Berlusconi fa le prove come grande seduttore: corteggia segretarie di potenziali clienti, ha un’attenzione speciale per ciascuno di questi, figlie, mogli e amanti comprese. Trasmette il verbo ai suoi collaboratori fino all’ultimo sondaggista che scruta al telefono l’audience. Nel fatidico 1984 il momentaneo spegnimento delle sue reti rivela un nuovo soggetto politico: la Gente. Mandate in strada le telecamere per dare voce ai bambini lasciati senza Puffi, alle nonne senza soap, ai genitori senza Visistors, si scopre che i nuovi legami creati dalla tv sono fortissimi, come le abitudini, molto meglio della propaganda ingessata dei tg lottizzati della Rai. Che bisogno c’era di leggere Orwell, quando ce l’avevi lì a portata di mano?

SPENTE le agiografie funebri, passato il tempo delle inchieste a schiena dritta, ora Netflix prova a piegare alla moda dello storytelling i materiali d’archivio del «miracolo» Berlusconi tra il 1980 e il 1994, con interviste ai testimoni ancora viventi ripresi nella luce chiaro-paradiso degli storici uffici Fininvest. Qualche rischio Fantozzi ci sarebbe («com’è umano lei») ma il sospetto è ingeneroso nei confronti del buon curriculum di autori e registi (Matteo Belli, Piergiorgio Curzi, Raffaele Brunetti, Simone Manetti). Di sicuro ne Il giovane Berlusconi manca tutto il dark side: la mafia, gli attentati, i conti segreti, le cene eleganti. Craxi c’è: «Milanese, compagnone, tanti capodanni passati insieme, le vacanze a Hammamet», ricorda Fedele Confalonieri. «A entrambi piacevano le donne – concede Stefania Craxi – però Bettino le barzellette non le sopportava».

Achille Occhetto
L’unica cosa che si disse di me, è che avevo il completo marrone. Lo misi per puro caso, perché l’altro si era sporcato. Non avevo mica lo staff Neppure Craxi, si ricorda, amava lo schermo nero (quell‘horror vacui sarà paragonabile a chi oggi si trovi senza telefonino?), perciò brigò in ogni modo per tenere in piedi Fininvest. Ne ebbe in cambio un occhio di riguardo per la sua propaganda elettorale. Il segretario del Psi usò l’influenza nei confronti del presidente socialista francese Mitterrand (e lo stesso argomento, la propaganda) per consentire alla gemella La Cinq di andare in onda. Il clamoroso materiale dello show di inaugurazione, la scenografia sotto il muso di un Concorde, Charles Aznavour e Carmen Russo, la testimonianza dell’ex ministro Jack Lang, è uno dei momenti alti della serie. Berlusconi, che si è sempre vantato di essere uno chansonnier mancato, seduce i presenti con un francese da conte Max. Trova il tempo per mascherare uno scamiciato e sfatto Serge Gainsbourg, non sa neppure chi sia, con un incongruo doppio petto scuro, Freccero ancora ne ride. Né la 5, né le reti in Spagna e Germania furono mai un successo.

In generale, il lato luminoso della storia potrebbe essere una (ri) scoperta. Certe interviste all’imprenditore edile di fine anni ’70 in un decor tra Scarface e i videoclip dei Duran Duran: trapper e influencer di oggi vanno pazzi per il Silvio di allora, Fedez ce l’ha sulla cover del telefonino. Il bellissimo fuorionda di un’intervista a Mike Bongiorno, suo cantore entusiasta, nel quale Berlusconi si lamenta dei capelli troppo lunghi dietro troppo pochi davanti, grande cruccio. La luce dei filmati: uffici, scrivanie, segretarie, telefonini preistorici, Milano da bere. La colonna sonora che ricicla i suoni dell’epoca, tra new wave elettronica e Claudio Cecchetto. Curioso il fatto che i materiali d’archivio degli anni ’90 siano soprattutto Rai (il tg3 con Sciarelli, il tg1 di Lilli Gruber e Bruno Vespa, Biagi e Minoli), mentre per documentare l’incredibile campagna elettorale delle star Fininvest (Vianello, Mondaini, Mike di nuovo, Funari e Ambra) gli autori hanno dovuto ricorrere ai vecchi Blob col logo opportunamente blurato. Che ne è stato degli archivi Mediaset? Vietato toccare?

I TRE EPISODI puntano dritti a quei primi mesi del 1994, quarant’anni fa esatti, quando Berlusconi vinse le elezioni dopo avere «strappato il sipario» delle sue televisioni, come sostiene ancora Freccero. La tv c’est moi. Achille Occhetto ricorda l’ultimo faccia-a-faccia, il nervosismo del suo avversario durante la pausa pubblicitaria, persino un incoraggiamento che gli sfuggì dal cuore. Minoli, primo a intervistarlo in Rai, sorride alla sua battuta: «È sempre convinto che i comunisti mangino i bambini?» Bisogna smetterla di dare la croce a loro: capivano bene quel che succedeva ma non lo credevano possibile. Il giorno dopo il confronto, tutti i giornali titolarono sul «vestito marrone» di Occhetto e lì si seppe chi aveva vinto gioco e partita. A proposito di comunisti, il documentario ricorda che a metà anni ’80 Publitalia riuscì a aggiudicarsi la gestione della pubblicità televisiva ammessa per la prima volta in Unione Sovietica: «Erano spot educativi, si entrava nella fabbrica, si vedevano gli operai, e poi soltanto alla fine il prodotto», ricorda un collaboratore: una specie di Carosello, il segmento si chiamava Progresso informazia reclame. A pensarci bene gli spot di Forza Italia di metà anni ’90 sarebbero stati pressoché identici. In tv nulla si crea, nulla si distrugge.