In parallelo il colpo di coda dell’amministrazione Doria è stato il concorso per il curatore del Museo di arte contemporanea di Villa Croce, vinto dal giornalista Carlo Antonelli (ex direttore di magazine come Rolling Stone e Wired). Entrambi i casi sono il sintomo di una asfittica idea culturale che la sinistra prima e il neo sindaco Bucci ora, hanno manifestato con queste nomine.
D’altronde, vecchie e nuove giunte hanno dimenticato il carattere sperimentale di Genova, dal teatro di Ivo Chiesa ai balletti di Nervi, dalla mostra dell’Arte povera alle prime rassegne europee di Gordon Matta-Clark e Allan Kaprow, fino ai progetti attuati dall’assessore Sartori nel decennio ’75-’85 durante la giunta Cerofolini. Una città che si è risvegliata a destra nelle ultime elezioni pensava ingenuamente che si potessero cambiare logiche consolidate. Invece, come dimostra il caso di Palazzo Ducale, lo strumento usato per scegliere il presidente non è stato il concorso pubblico, come è avvenuto per Villa Croce, bensì la chiamata diretta (esperienza gestionale di una istituzione culturale non richiesta).
La nomina di Bizzarri pone un’altra questione: il ruolo delle classi dirigenti e degli intellettuali, cittadini assuefatti alle situazioni che periodicamente si verificano, privi di alternative credibili, mentre gli imprenditori elemosinano risorse all’agonizzante Villa Croce. In questo panorama di fallimento della borghesia, un’eccezione è il costruttore Davide Viziano e il suo Palazzo della Meridiana, sede di mostre sotto la guida di Giuseppe Marcenaro e Pietro Boragina.
Se da una parte c’è una forte propensione alla sperimentazione, dall’arte all’architettura, dall’altra è assente la presenza del pubblico nell’offrire occasioni di verifica e confronto agli artisti e «ricercatori» che, nonostante tutto, continuano a vivere a Genova. Così la cultura non viene considerata come una possibilità di rinascita della città, ma un modo per spettacolarizzare ulteriormente una società già alla deriva.