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L’arte del disprezzo e il parlare con le budella

L’arte del disprezzo e il parlare con le budella

Habemus Corpus Gli insulti di Giovanni Gozzini a Giorgia Meloni sono parte di un malcostume diffuso

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 23 febbraio 2021

Venerdì scorso, durante la trasmissione Bene bene male male su Controradio, tre intellettuali commentavano il discorso di Mario Draghi alle camere e la dichiarazione di voto di Giorgia Meloni che, impavida, aveva esordito citando un aforisma di Bertolt Brecht che dice: «Ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati».

Giovanni Gozzini, professore ordinario di scienze sociali, politiche e cognitive dell’università di Siena, è sbottato con un: «È una pesciaiola». Raffaele Palumbo, conduttore della trasmissione, ha puntualizzato: «Eh no, onore agli ortolani e ai pesciaioli». Gozzini ha risposto: «Ma che devo dire per stigmatizzare il livello di ignoranza e presunzione della Meloni? Ditemi voi? Rana dalla bocca larga? Scrofa?». «Ma no, dì peracottara», ha replicato lo scrittore Giorgio van Straten. Controradio e van Straten si sono dissociati dal linguaggio di Gozzini che, travolto da un uragano di critiche, ha presentato le sue scuse dicendo: «Non è mio costume promuovere un linguaggio che non sia più che rispettoso nei confronti di tutti. Chiedo scusa a Giorgia Meloni e a tutti quelli che si sono sentiti offesi. Non era mia intenzione scandalizzare nessuno, chi segue la trasmissione sa che abbiamo questo tono poco formale ma sempre sullo scherzoso e quindi capita di eccedere. Il che ovviamente non può essere una giustificazione. Ho sbagliato e chiedo umilmente perdono».

Diciamo che la pezza mal chiude il pessimo buco, perché di scherzoso nel suo tono non c’era proprio nulla anzi, era un’invettiva che usciva dalle budella e qui sta il problema, le budella.

C’è un malcostume in circolazione. Quando si tratta di esprimere il proprio parere negativo su una donna sprizza fuori da molti criticanti, purtroppo anche donne, una panoplia di paragoni che evocano incolpevoli animali tipo maiali, scrofe, serpenti, vacche, cagne. In alternativa si ricorre a professioni ritenute chissà perché non nobili (portinaia, pescivendola) o disdicevoli (puttana), per finire con valutazioni sulla pulizia o l’eleganza (vunciona, zozzona, vaiassa).

I seguaci di Giorgia Meloni e del suo ex alleato Salvini hanno all’attivo un corposo dossier, documentato da Pangea e da Amnesty International nell’osservatorio sui discorsi e i linguaggi di odio. Lì, in soli tre mesi del 2019, sono stati estratti 215.377 tweet di cui 74.451 riguardano i migranti, 55.347 le donne e 39.876 sono apertamente misogini e sessisti. Meloni, oltre a essere riconoscente al presidente Mattarella per la solidarietà espressale nel caso Gozzini, potrebbe nel contempo invitare le sue truppe a un corso di bon ton linguistico.

Potrebbe anche ripensare a certe sue affermazioni, come quella rivolta a Mattarella quando concesse il cavalierato alla giornalista, scrittrice e attivista di origine siriana Asmae Dachan. Tanto per stare dalla parte delle donne, disse la patriottica Meloni: «Chiedo formalmente al Presidente della Repubblica di sospendere il conferimento e rivedere la sua decisione perché tale gesto sarebbe un clamoroso atto di sottomissione all’Islam radicale».

Tornando a Gozzini, visto che i toscani hanno una lunga tradizione in fatto di bestemmie e insulti creativi, visto che quella è la patria di Dante e che lui è docente universitario, sarà ben in grado di ripulirsi dalle scorie del parlare maschilista e darsi all’arte del disprezzo. Per essere incisivi non serve andare giù di clava, ma usare lo stiletto. Per esempio, un brechtiano «Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia è un delinquente» sarebbe stato molto meglio.

mariangela.mianiti@gmail.com

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