Le conseguenze biologiche di un pianeta sempre più sterile sono visibili sia nel mondo che nel nostro corpo. Al livello dei sistemi planetari, la deforestazione generalizzata e l’agricoltura industriale stanno causando la perdita della ricca biodiversità microbica nel suolo, chiave vivente del sequestro della CO 2 e della ritenzione idrica. La perdita di biodiversità del suolo ha ricadute sotto tanti aspetti anche sulla nostra salute. Gli alimenti cresciuti in un terreno sterile sono meno ricchi di sostanze nutritive, nello specifico di quelle molecole che combattono l’infiammazione. I microrganismi nel terriccio che si deposita sul nostro davanzale, o la loro carenza, influenzano la nostra risposta immunitaria. I microbioti del terreno sono collegati a quelli che ospitiamo nel microbioma umano, e scopriamo sempre più cose ogni giorno che passa su queste interrelazioni. Vediamo la medesima tendenza negli intestini e nel terreno: sta sparendo la diversità microbica nei luoghi dell’attività umana moderna.

QUEL CHE VALE PER LA FORESTA ESTERNA vale anche per la foresta interna. Nel 1989 l’epidemiologo David Strachan studiò la frequenza crescente del raffreddore da fieno nei bambini inglesi, trovando che l’esposizione a diversi ambienti microbici in gioventù li proteggeva dalle allergie e dalle malattie autoimmuni, come asma ed eczema. Quella che era nata come ipotesi nel campo delle allergie è passata nel campo dell’immunologia ora che l’incidenza delle malattie infiammatorie croniche cresce in maniera simile in posti sempre più sterili. (…)

L’aria che respiriamo ha un effetto diretto sul funzionamento degli organi endocrini. L’aria avvelenata causa infiammazioni anche nel nostro cervello. Sono stati trovati nell’encefalo delle persone esposte ad alti livelli di inquinamento atmosferico i marker infiammatori e l’accumulo di una proteina chiamata beta-amiloide. Questa proteina è associata allo sviluppo e accelerazione di malattie come l’Alzheimer e disfunzioni cognitive. L’Alzheimer negli anziani è stato collegato a un’alta esposizione a pm 2,5. E sempre più spesso la firma dell’Alzheimer viene trovata nel cervello dei bambini.

Uno studio svolto a Città del Messico ha ricostruito il percorso con cui l’inquinamento dell’aria ha portato a infiammazione sistemica e cambiamenti cerebrali strutturali, che a loro volta causano una disfunzione cognitiva. Alcuni effetti possono essere invertiti: è bastato aggiungere un filtro dell’aria in un’aula del centro di Los Angeles per migliorare i risultati scolastici come se si fosse ridotto il numero degli studenti di un terzo. Ma per certi bambini il danno è permanente. L’esposizione all’inquinamento da traffico, diossido di azoto, pm2,5 e pm10 durante la gravidanza e il primo anno di vita è associata in maniera significativa all’autismo. I fumi di scarico delle auto sono stati collegati a una maggiore diffusione del cancro cerebrale, tanto che l’alta esposizione che subiremmo traslocando da una strada tranquilla a una trafficata aumenterebbe il rischio di sviluppare il tumore del 10 per cento. Le nanoparticelle di magnetite create nei tubi di scarico sono particolarmente pericolose. Con i loro 0,2 micron (o 200 nanometri) e anche meno, possono entrare nel cervello direttamente dal naso, lungo il bulbo olfattivo. Quando i nostri genitori ci dicono di non ficcarci la matita nel naso perché potrebbe finire nel cervello, è appunto la strada seguita dalle nanoparticelle, attraverso la delicata lamina che separa le vie nasali dall’encefalo. Una volta nel cervello, scatenano un’infiammazione pericolosa implicata nell’Alzheimer e contribuiscono all’aumentato rischio di cancro encefalico.

IL CITTADINO MEDIO RESPIRA 10.000 LITRI DI ARIA al giorno, aria sporca di fumo di tabacco, scarichi di auto, fuliggine dei diesel, diossido di zolfo e di azoto e una manciata di altri inquinanti. Dieci anni di esposizione all’inquinamento atmosferico nelle città Usa hanno ricadute sui polmoni quanto fumare un pacchetto di sigarette al giorno per ventinove anni, portando a broncopneumopatia ostruttiva terminale o enfisema. E non è finita, gli effetti dipendono dalla dose: in certe regioni della Cina inalare l’aria inquinata equivale a fumare tre pacchetti al giorno.

In India l’inquinamento va addirittura fuori scala, oltre quello che le macchine sono calibrate a misurare. «A Delhi fumano tutti» è la classica spiegazione dei medici. Se campi rovistando tra i rifiuti, esponendoti in maniera sproporzionata al danno ambientale, hai molte più probabilità di inalare oltre il livello medio di inquinanti, che a un certo punto del 2019 equivaleva a fumare cinquanta sigarette al giorno. I fuochi della discarica di Bhalswa possono ardere per giorni, nel cuore dei mucchi di immondizia, emettendo fumo saturo di diossine. Non tutti fumano nella stessa quantità, e il calcolo dell’esposizione è complesso. A Delhi e Rio de Janeiro essere ricco riduce i sintomi delle patologie polmonari, ma a Roma i ricchi vivono in centro, dove ci sono livelli più elevati di traffico. Però Roma è un’eccezione.

Quasi tutte le morti da inquinamento avvengono nei paesi poveri e a medio reddito e, come ha notato nel 2010 la Commission on Pollution and Health del Lancet, «nei paesi a qualsiasi livello di reddito, gli effetti dell’inquinamento sulla salute sono più frequenti e gravi tra i poveri e gli emarginati». I proletari hanno maggiori probabilità di essere esposti a livelli superiori di inquinamento e di avere malattie portate dall’infiammazione che rende più letale questa esposizione. Nessuno pensa che la situazione migliorerà. Cercare di risolvere l’inquinamento creando spazi solo per i ricchi con aria condizionata e filtri non fa che peggiorare le cose per tutti, dato che queste macchine sputano calore e richiedono energia per generare elettricità, bruciando altri combustibili fossili per proteggere i ricchi dagli effetti degli incendi.