«Abbandona questo dunque e questo tutto in cambio di questo nessun luogo e di questo nulla. Non ti curare se il tuo intelletto non ha conoscenza di tale nulla, perché per questo io lo amo ancora di più. È cosa tanto preziosa in se stessa che l’intelletto non può concepirla. Questo nulla si può provare piuttosto che vedere, perché è oscuro e nascosto a coloro che vi hanno posato lo sguardo solo per poco tempo». Queste parole che l’autore anonimo della Nube della non conoscenza, un trattato sulla vita contemplativa del Trecento inglese, rivolge a «un amico spirituale in Dio» – si possono leggere ne La mistica cristiana III (Mondadori «i Meridiani. Classici dello spirito», pp. 1621, euro 80,00), che conclude la preziosa silloge coordinata da Francesco Zambon. Questo terzo volume comprende la mistica iberica, inglese e americana, russa, svedese, a cura rispettivamente di Pietro Taravacci, Gabriella Del Lungo Camiciotti, Adalberto Mainardi, Francesca Maria Crasta. I testi scelti e commentati dai curatori – che sono degli autorevoli specialisti della materia a livello internazionale – ci offrono una impressionante galleria, dove testi famosi si accompagnano a innumerevoli pagine nuove.
In Spagna è nel Cinquecento che si assiste alla nascita di un notevolissimo numero di ambienti spirituali e di scritture mistiche. Del tutto evidente è il collegamento con la «devotio moderna», che propone una pietà intima, metodica e affettiva legata ai grandi mistici tedeschi e fiamminghi del Trecento (Eckart, Ruusbroec, Grote), tradotti in spagnolo e largamente diffusi. L’esperienza mistica, come si apprende da molti testi, in particolare quelli francescani – le opere di García Giménez de Cisneros, di Francisco de Osuna, di Juan de los Ángeles – è esperienza di unione ineffabile che, mediante amore, Dio compie in alcune anime, soprattutto attraverso visioni, estasi e rivelazioni. Per Osuna è centrale «l’orazione di raccoglimento», che è al di là dell’intelletto: «Il tacere del nostro intelletto si attua in Dio, quando l’anima in Lui tutt’intera si trasforma, gustando in abbondanza la sua soavità, dove s’assopisce, come in cella vinaria, e tace senza desiderare altro».
Una figura molto particolare è quella di Ignazio di Loyola. Il suo Diario espiritual racconta come un cavaliere dedito alle vanità del mondo e appassionato di romanzi cavallereschi, diventa uno stratega soprannaturale e il fondatore della Compagnia di Gesù. Gli Esercizi spirituali (1548), di prodigiosa psicologia, propongono attraverso ripetuti esami di coscienza e una «contemplazione visibile», una strenua disciplina, posta al servizio di una totale e perfetta devozione a Dio.
La mistica spagnola culmina con le opere di due grandi personalità carmelitane, Teresa d’Avila e Juan de la Cruz. Nella Vida (1562) e nel Cammino di perfezione (1562-’66) Teresa esalta il valore attivo della stessa contemplazione, nel Castello interiore, o le Dimore (1577), prevale invece il distacco dalle cose sensibili e la scoperta di Dio nel «fondo» della propria anima, immagine di Dio stesso. Il soggetto mistico si confronta con il limite del dicibile: «Teresa – così scrive Taravacci – appare del tutto “indifesa” (desamparada), come consegnata alla forza dell’incomprensibile, al tormento del dubbio sulla natura della propria esperienza, alla dimensione psicologica, alla violenza delle immagini».
In altissimi versi – Salita del Monte Carmelo, Cantico spirituale, La notte oscura dell’anima – Juan de la Cruz rievoca l’ardente cammino dell’anima alla ricerca del suo Sposo celeste. È un cammino arcano, di caliginosa contemplazione, ma che improvvisamente e gioiosamente si anima di montagne, di valli, di fiumi, di musica sognata, di incontro: «Mio Amato, le montagne, / le solitarie valli tutte boschi, / le isole là stupende, / i rivoli sonori, / il sibilo dei venti innamorati, // la notte in piena quiete, / vicina al levarsi dell’aurora, / la musica silente, / eremo melodioso / la cena che ricrea e innamora». Commentava Gianfranco Contini: «Il motivo più fertile presso il Santo è il motivo delle “cose”, in relazione appunto a quella “via negationis”, che, mentre le rifiuta, le lascia vivere in una metafisica simbolica: o insomma come segni figurali».
La mistica spagnola, con la sua intensa e magnifica fioritura, prende, con ben ottocento pagine, la metà del volume, ma anche le altre sezioni ci riservano testi di grandissimo rilievo. La sezione sulla mistica inglese e americana si apre con due bellissimi testi anonimi, Il sogno della Croce (VIII secolo), dove a parlare, in una visione, è la Croce stessa, che rievoca la crocifissione di Gesù e poi annuncia il messaggio della redenzione, che la trasforma in un «albero della vittoria», e La nube della non conoscenza.
L’esperienza spirituale di alcuni grandi mistici del Tre-Quattrocento, come Richard Rolle e Giuliana di Norwich, assume la forma della vita eremitica. Giuliana, che visse da reclusa presso una chiesa, scrisse, a partire da una visione avuta il 13 maggio 1373, Una rivelazione dell’Amore, che si muove drammaticamente tra gli estremi del male e del bene, del peccato e della grazia, superati però per opera della Trinità e per il legame familiare tra Dio e le sue creature.
Richard Rolle, che scrisse numerose opere tutte volte a esaltare la vita solitaria, nei suoi trattati vive l’esperienza mistica come un meraviglioso fuoco che incessantemente e dolcemente lo brucia: «Più un uomo è acceso dal fuoco della luce eterna, molto più sarà forte e paziente in tutte le avversità. (…) In modo meraviglioso, dolce e ardente, e con l’occhio della mente, purificato per quanto possibile alla sua fragilità morale, egli vede e conosce Dio».
Margery Kempe racconta la sua esperienza spirituale in un Libro, un’avvincente autobiografia, che ci rivela le sue irrefrenabili crisi di pianto e il suo partecipare di persona, quasi fosse presente, quando vive visionariamente la Passione. Incontriamo poi le grandiose, allucinate visioni apocalittiche dei Libri profetici di William Blake; la gigantesca personalità di Ralph Waldo Emerson, che come autore del saggio Natura (1836) fu il teorico fondante del Trascendentalismo: solo l’esperienza della divina natura può ristabilire l’equilibrio tra materia e spirito, tra uomo e Dio.
Nella sezione sul misticismo russo, dopo la Vita di san Sergio di Radonez, il carismatico eremita seguace dei Padri del deserto, scritta da Epifanio il Saggio nel 1420 ca. una trentina d’anni dopo la sua morte, e le opere di Nil Sorskij (1433 ca.- 1508), teorico della lotta contro i «vani pensieri» attraverso «la preghiera di Gesù», il discorso si concentra sul conflitto che, a partire dalla fine del Settecento, oppone Slavofili e Occidentalisti, coinvolgendo anche la spiritualità. Per Teofane il Recluso (1819-1894), grande «monaco dotto», profondo esegeta del testi della Patristica, autori come Tommaso da Kempis e Ignazio di Loyola sono «pieni di fantasie e falsità», e minacciano la tradizione teologica ortodossa.
La vita interiore cristiana deve invece nutrirsi delle fonti bibliche e patristiche, e per la via del ritorno alle fonti fu fondamentale la pubblicazione, per opera di Paisij Velickovskij della Filocalia slava (1793), la versione in slavo ecclesiastico della celebre raccolta di testi ascetico-spirituali dal IV al XV secolo pubblicata a Venezia nel 1782. Opera che segnò profondamente Serafim di Sarov (1759-1833), «l’uomo luminoso su cui risplende la grazia dello Spirito Santo», e i Racconti di un pellegrino russo, il famoso romanzo mistico di Arsenij Troepol’skij (1804-1870). La sezione della mistica slava / svedese ci presenta Birgitte di Svezia (1303-1373), devota terziaria francescana, incessantemente pellegrinante, ed Emanuel Swedenborg, il «mago del Nord», che in opere come Arcana Caelestia (1749-’56) dispiega una grandiosa cosmologia gnostico-visionaria.
Nelle ultime pagine di ogni sezione i curatori riportano o citano altri testi, più recenti e anche di contemporanei, che si ricollegano agli autori che hanno scelto e commentato. Incontriamo così María Zambrano, José Bergamín, Luis Cernuda, José Ángel Valente, Thomas Merton, T. S. Eliot, W. H. Auden, Pavel Florenskij, Nikolaj Berdjaev. E anche la voce misteriosa di Emily Dickinson: «Alla finestra ho per paesaggio / solo un mare – con uno stelo – / se uccelli e contadini – lo pensano un “pino” – / l’opinione va bene – per loro – // Non ha porto – né equatore – ma ghiandaie – / che solcano la rotta del cielo – / e uno scoiattolo – la cui penisola vertiginosa / per questa via – è più facilmente raggiunta. // (…) Il pino alla mia finestra era forse / “membro della reale” onnipotenza? / i presentimenti – sono le presentazioni di Dio – / venerabili – di conseguenza». (By my Window have I for Scenery / Just a Sea – with a Stem – / If the Bird and the Farmer – deem it a “Pine” – / The Opinion will serve – for them. / …).