Cultura

L’archiviazione personale del dolore

L’archiviazione personale del dolore

SALONE DEL LIBRO DI TORINO «L’estate del '78», di Roberto Alajmo per Sellerio. Oggi alle 16.30 al Caffè Letterario con Salvatore Silvano Nigro e Nadia Terranova

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 12 maggio 2018

L’estate del 1978, cos’è stata? Cosa accadeva? Erano passati pochi mesi dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro. Tutto era accaduto tra il 16 marzo, giorno del rapimento, e il 9 maggio, giorno del ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio di una Renault 4 di colore rosso, nel pieno centro di Roma.

QUELLO STESSO GIORNO, 9 maggio, in un piccolo paese vicino a Palermo, Cinisi, viene ritrovato anche il cadavere di Peppino Impastato, rapito e ucciso la notte precedente, il corpo depositato sui binari della ferrovia. Erano passati pochi mesi anche dall’approvazione della legge 180 – la legge Basaglia, che aveva chiuso i manicomi – e della legge 194, che aveva introdotto l’aborto. In giugno, il presidente della Repubblica Giovanni Leone era stato costretto alle dimissioni, a seguito delle accuse mosse contro di lui, di corruzione e malversazione, da Camilla Cederna. Al suo posto, il 9 luglio era stato eletto Sandro Pertini. All’inizio di agosto morirà Papa Roncalli: il 28 agosto gli succederà, al termine di un velocissimo conclave, Papa Luciani, che morirà a sua volta appena trentatre giorni più tardi. In ottobre, il nuovo Papa sarà Karol Wojtyla.

SU QUESTO SFONDO scorrevano i diciotto anni di Roberto Alajmo. Era l’estate dei suoi esami di maturità. All’inizio di luglio Alajmo stava trascorrendo i giorni prima degli orali nella sua casa di Mondello, a pochi passi da Palermo, insieme ad alcuni amici, che diminuivano però di giorno in giorno, perché ogni giorno era il turno di qualcuno di loro. Verso il tardo pomeriggio di uno degli ultimi giorni, mentre il sole iniziava a calare, i pochi superstiti erano usciti per andare a prendere un gelato: ed è questo il momento in cui Alajmo vide per l’ultima volta sua madre, Elena, già separata dal padre da alcuni anni. La trovò seduta sul marciapiede della stradina davanti a casa, la mano sugli occhi per riparare lo sguardo dal sole, affaticata e come «disarmata»; lo stava aspettando, era evidente, ma senza voler darlo a vedere, come fanno spesso i genitori in situazioni simili. Non sanno bene cosa dirsi, e non si dicono quasi niente. Lei ha quarantadue anni. Da molto tempo ormai era sprofondata nella depressione. Alla fine di ottobre verrà trovata morta, a terra, nell’appartamento dove abitava da sola; e la sua morte verrà catalogata come suicidio. «È difficile», nota Alajmo, «stabilire il momento in cui si prende commiato da una persona», ma in questo caso non lo è: il commiato tra lui e sua madre ha luogo nella luce calante di quel tardo pomeriggio, di quell’incontro inatteso e impacciato.

INIZIA DA QUI, da questo commiato, il libro di Roberto Alajmo appena pubblicato da Sellerio, L’estate del ‘78 (pp. 173, euro 15), ed è un libro bellissimo, a suo modo perfetto. Alajmo stesso lo definisce un’indagine, perché ad animarlo è il desiderio di un’«archiviazione personale» di quella morte, «che faccia eco a quella giudiziaria»; e un’archiviazione, appunto, presuppone un’indagine, che Alajmo compie, giocoforza, innanzitutto su di sé. Indagare su una madre equivale infatti a chiamare in causa una vita intera: non solo quello che eravamo ma anche, ancora di più, quello che siamo o che avremmo potuto essere. Tutto si tiene, nel racconto di Alajmo, e tutto è detto in una linearità essenziale, nella scrittura come nei toni, e proprio per questo perfetta: commovente perché non vuole commuovere, esemplare perché non ha la pretesa di esserlo. Infine, L’estate del ’78 è anche un’indagine sugli abissi della depressione. Voleva davvero morire, Elena, si era trattato davvero di suicidio? Oppure: voleva davvero morire così, o forse non avrebbe voluto almeno raggiungere il letto e magari non ne aveva avuto il tempo?
Cosa rimarrà, si chiede in chiusura Alajmo, dopo tutto questo raccontare? Forse, si risponde, rimarrà solo la sua medesima predisposizione all’inquietudine di prima, di sempre. Ma quel che è certo, aggiunge, è che «adesso quasi ogni tessera è andata a posto». E del resto dove può essere trovato il senso della vita e dello scorrere delle cose se non in sé stesso e nel racconto che se ne fa?

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