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L’«arancia a orologeria» e la poesia

Pietro Pascarelli: «L’”arancia ad orologeria”, dal titolo del romanzo A clockwork orange di Anthony Burgess, indica uno strano ibrido a metà strada fra il biologico e l’inorganico, un qualcosa non […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 27 giugno 2020

Pietro Pascarelli: «L’”arancia ad orologeria”, dal titolo del romanzo A clockwork orange di Anthony Burgess, indica uno strano ibrido a metà strada fra il biologico e l’inorganico, un qualcosa non privo di una possibilità di essere animato, ma solo nel senso di essere attraversato e messo in moto da una forza a lui estranea e indipendente. Vedo in questo qualcosa non propriamente vivo e non propriamente morto, ma avido di vita, non tanto o non solo un automa nella forma di un’inedita chimera, ma l’emblema stesso del mondo e del suo governo che furono umani, nell’inquietante commistione fra il frutto naturale della vita dalla fresca immagine (l’arancia) con un dispositivo meccanico dispotico che incombe sulla vita e sull’organico, assorbe e impiega nel consumo energia (vita) altrui. Esso scaraventa l’uomo nei ranghi produttivi rendendolo macchina e pezzo di una macchina più grande, lo penetra nella psiche e ne asservisce strumentalmente il corpo resi il più possibile funzionali a se stesso.

Tale inaudita combinazione, intesa come il sistema di produzione capitalistica, alleandosi con scienza e tecnologia, integra in sé il linguaggio, come osserva Julia Kristeva. Essa ne neutralizza il potere generativo riducendolo a incasellare la diversità come anomalia; chiude rispetto al nuovo perturbatore; espropria, col consumo, energia e tempo di vita, In questa dispositivo che unisce vita e non-vita, al posto del sistema capitalistico, potremmo vedere un diverso tiranno, un congegno impersonale di dominio, qualcosa che ci parassita non troppo diversamente da un virus. Ad esso può opporsi la forza creatrice della poesia, di un linguaggio che capta la pulsione e fa esplodere i significanti abituali, restituendo pensiero libero, e riaprendo le porte del desiderio. Nel fare i conti col sistema inumano e col reale, possiamo ritrovare l’azione politica».

Sarantis Thanopulos: «Caro Pietro il tuo uso della metafora dell’“arancia a orologeria” (arancia meccanica) rende chiaro il contrasto tra ciò che è animato, il vissuto sensuale psicorporeo, la “carne” viva dell’esperienza umana, e ciò che è inanimato, un meccanismo comportamentale ripetitivo (evidente nel romanzo che citi) avente come scopo unico la propria riproduzione. E mette a fuoco il conflitto, centrale nella nostra epoca, tra la materia viva del desiderio e la “macchina” che è nella sua essenza immateriale: uno schema mentale che rende probabilisticamente calcolabile e pre-determinabile l’agire umano.

L’altro pregio del modo con cui usi la metafora dell’“arancia a orologeria” è l’esplicitare il fatto che il funzionamento del principio meccanico (che come infezione si annida nella “polpa” del corpo vivo dell’esperienza, corrompendola) trova nella materia umana la sua fonte di alimentazione. Nella mia prospettiva, il “congegno impersonale di dominio”, di cui parli, è il “nucleo oscuro” del capitalismo, il suo svilupparsi sregolato, senza mediazioni politiche, lasciato alla sua intrinseca natura di predatore del nostro spazio comune di vita. Questo sviluppo sempre più incontrollabile e sempre più coerente con il suo principio di funzionamento, l’accumulazione/concentrazione di una ricchezza astratta dall’uso reale dei beni prodotti, tende a creare, come è già evidente, una sovrapposizione, coincidenza tra l’essere umano e l’automa. Il dispositivo che scarnifica la nostra esistenza invadendo come virus mentale il nostro mondo interno, si estrinseca in automatismi dell’agire che, staccando il nostro corpo dalla sua anima, lo riducono alla sua pura esistenza organica. L’“arancia a orologeria” è un congegno di “animazione” che usa il nostro corpo biologico per dare parvenza di vitalità esteriore a ciò che non è vivo internamente. Nella lotta contro l’inumano che ci espropria della nostra esperienza, la poesia (la nostra comune radice nel mondo) ha un valore politico fondamentale».

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