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L’apicoltura, una passione dell’anima

Intervista «La collettività dovrebbe avere gratitudine per gli apicoltori perché senza il loro prezioso lavoro le api sarebbero spacciate»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 maggio 2018

Steiner diceva che per comprendere le api bisogna fare ricorso alla propria anima. In questo modo rendeva la straordinarietà di questo insetto che racchiude in sé comportamenti complessi e misteriosi, uniti a un ruolo ecologico essenziale quanto fragile. vPer questo motivo dedicarsi all’allevamento delle api non è un’attività qualsiasi: necessita di sensibilità, passione, curiosità, attenzione. Lo sa bene Ennio Pirocchi, che che si definisce «innamorato delle api». Ennio Pirocchi è un piccolo produttore, ha un possedimento a Miano (Teramo) che va dai 30 ai 50 alveari. In Italia la piccola produzione è quella più diffusa. In Abruzzo, per esempio, su 100 apicoltori solo 4 possono essere definiti apicoltori «professionisti», cioè con apiari che vanno dagli 800 ai 1000 alveari e che devono sottostare a regole di vendita diverse da quelle dei produttori amatoriali, i quali possono fare vendita diretta come ed hanno meno obblighi di legge. Non significa che non ci siano difficoltà.

Quali sono le principali problematiche vissute da un apicoltore?

Bisogna fare una distinzione fra piccola e grande produzione: un apicoltore amatoriale sta anche tutto il giorno in apiario, fra le altre cose a controllare ogni singola ape regina , che sia uscita, che stia in salute; un grande imprenditore non ha di queste preoccupazioni. Per essere apicoltore servono motivazioni forti, perché come tutte le attività agricole è estremamente legata al clima; a causa del maltempo che ha colpito l’Italia nei giorni scorsi, Coldiretti ha stimato che abbiamo perso il 50% di produzione di miele primaverile.

Perché?

Erano i giorni della fioritura della robinia, per il freddo e la pioggia le api non uscivano, quindi oltre a non produrre miele e perdere una fioritura che dura pochi giorni, in poco tempo hanno consumato le riserve. Oltre agli eventi naturali che possono alterare questi delicati equilibri, le api hanno tantissimi nemici, a partire dall’uomo: ambienti non più integri, prodotti tossici. Per praticare l’apicoltura è necessaria una conoscenza vasta e una curiosità profonda, dobbiamo essere un po’ biologi, un po’ veterinari, un po’ botanici, un po’ metereologhi. Ciononostante l’apicoltura è ancora considerata un’attività agricola di serie B, non è inserita nei piani di sviluppo rurale e non riceve finanziamenti al pari di altre e dove li riceve le risorse vengono ripartite in maniera sbagliata (conta solo solo il numero degli alveari). Quando invece è necessario sostenere tutti, anche chi ha poche arnie, perché quelle api sono fondamentali non solo per la produzione di miele ma per l’impollinazione. Forse non tutti sanno che le colonie selvatiche di api non esistono quasi più, è difficile trovare in natura qualche sciame naturale in un tronco cavo o in una casa abbandonata; gli areali si sono ristretti, soprattutto nelle aree ad agricoltura intensiva le api si contaminano e muoiono, basta prendere in considerazione i dati relativi alla pianura padana.

Quindi non si è apicoltore per ragioni economiche…

Quella economica non può essere l’unica motivazione. Però è un’attività a cui si può dare inizio con un investimento relativamente basso, bastano poche centinaia di euro per avere un po’ di alveari. E comunque arriva a rendere più dell’investimento iniziale. Ma non bisogna aspettarsi dei risultati subito: sorrido quando i giovani che vengono ai miei corsi mi chiedono quanto rende un alveare all’inizio, prima del miele c’è bisogno di tanto lavoro, tanta conoscenza e ciononostante il risultato può non arrivare, a causa del freddo, o il caldo, la siccità, le api hanno bisogno di moltissima acqua e questo è un problema nelle zone aride. E’ un’attività fragile ed importantissima come le api stesse. La collettività dovrebbe avere gratitudine per gli apicoltori, senza di loro le api sarebbero spacciate, perché sono minacciate da troppi pericoli e l’apicoltore è il loro alleato: tiene sotto controllo la Varroa, un parassita micidiale, le aiuta a passare l’inverno con delle scorte, prepara delle vere e proprie ricette che danno alle operaie la massa grassa necessaria per la produzione di pappa reale. Un servizio che poi va beneficio dell’intero territorio.

Nel corso degli incontri di divulgazione voi premiate i mieli più pregiati: sulla base di cosa un miele è da considerarsi migliore di una altro?

In generale in Italia siamo molto fortunati: abbiamo la possibilità di consumare miele buono. La nostra elevata biodiversità ambientale fa sì che disponiamo di una enorme varietà di mieli. In più abbiamo una legislazione in termini igienico-sanitari più severa rispetto a quella di altre nazioni, che per esempio vieta l’utilizzo di antibiotici. Inoltre non è difficile avere un apicoltore non troppo lontano, anche quando si vive in città, il nostro slogan è comprate dal vostro apicoltore. Abbiamo condotto una vera battaglia per ottenere le etichette per orientare il consumatore, riportando l’origine del miele. Per distinguere fra un miele e l’altro sono necessarie analisi di rito che vengono eseguite nei laboratori zooprofilattici, su contenuto di zuccheri, acqua, contaminanti. Poi un «team» di assaggiatori esperti valuta il sapore, l’acidità… Una curiosità: le analisi di laboratorio a volte danno dei risultati inattesi che ci mostrano l’imprevedibilità delle api. Per esempio, un apicoltore convinto di aver prodotto un miele di castagno, si ritrova un miele di fiori di cipolla: questo perché l’ape inizia a bottinare su di un’essenza, e se è presente in abbondanza, continua su quella: quindi a poco è valso che l’apicoltore abbia messo i suoi alveari vicino a un bosco di castagno: le api hanno trovato più comodo alimentarsi sul prato fiorito di cipollotto selvatico. Sulla non corrispondenza del prodotto atteso dall’apicoltore e quello ottenuto sono state scritte delle tesi di laurea.

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