Paolo Fontana – apicoltore, apidologo presso Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento), presidente di World Biodiversity Association – è uno dei massimi esperti in tema di apicoltura e ha più volte denunciato il rischio di disfacimento del patrimonio genetico dell’ape mellifera per lo spostamento dalle loro zone di origine di alcune sottospecie e per l’introduzione degli ibridi selezionati per massimizzare la produzione.

Fontana, come stanno le cose e che cosa rischiamo?

L’ape mellifera, quella allevata dagli apicoltori, non è un animale domestico che vede la sua esistenza concludersi all’interno dell’apicoltura, un’attività che io amo e che pratico da oltre 30 anni. L’ape è un particolare animale selvatico che, adattandosi alle diverse condizioni ambientali del suo vastissimo areale di origine, tra 300 mila e 13 mila anni fa si è suddivisa in oltre 30 sottospecie, tra loro distinguibili per caratteri esterni, genetici e anche etologici, ma tutte tra loro interfertili. L’ape italiana (Apis mellifera ligustica), l’ape sicula (Apis mellifera siciliana), l’ape greca (Apis mellifera cecropia) ecc., non sono razze selezionate dall’uomo nei forse sei mila anni di storia dell’apicoltura, ma sono sottospecie che sono state plasmate dalla selezione naturale. La diffusione dell’apicoltura nelle civiltà antiche non ha visto lo spostamento di una specie animale, come è avvenuto per tutte le specie domesticate dall’uomo, ma ad essere trasferita di civiltà in civiltà è stata la tecnica di allevamento. L’apicoltura è nata proprio sulle caratteristiche bio-etologiche dell’ape da miele e una apicoltura può essere produttiva solo se basata su api ben adattate alle condizioni ambientali, come sono soltanto le sottospecie autoctone ovvero le cosiddette api locali. Negli ultimi decenni, l’apicoltura ha puntato sulla selezione di api sempre più performanti, sulla loro moltiplicazione in grandissimi numeri e sulla loro diffusione a livello generale. In questo modo da un lato si è ridotta la variabilità genetica della specie ape mellifera e si sono mescolati patrimoni genetici non più caratterizzati da un grande adattamento alle condizioni ambientali. Il trasferimento da parte dell’uomo, involontario ovviamente, di un parassita di alcune specie asiatiche del genere Apis all’ape da miele, ovvero l’acaro Varroa destructor, ha decimato a partire dagli anni Settanta del secolo scorso le colonie selvagge dell’ape da miele che da sempre vivevano assieme o meno a quelle allevate dall’uomo e con cui si incrociavano, trasferendo a queste caratteri fondamentali per l’adattamento all’ambiente locale. Questo ha favorito drasticamente la diffusione di api selezionate e il trasferimento di sottospecie al di fuori dai loro areali. Il risultato è oggi abbastanza evidente a chi vuol vedere e cioè le api degli apicoltori sono meno performanti e non sanno reagire alle problematiche ambientali.

Nasce da queste considerazioni la Carta per la tutela delle api che la vede tra i «padri»?

La Carta di San Michele all’Adige, scritta dai massimi esperti italiani nel 2018, ha posto con forza all’attenzione pubblica il problema della tutela delle popolazioni locali dell’ape mellifera, delle sue sottospecie. Questo documento scientifico, citato a oggi da decine di pubblicazioni scientifiche di alto livello, ha costituito una sorta di rivoluzione copernicana perché ha inteso far capire al mondo dell’apicoltura, ma anche a tutti i cittadini, che l’ape mellifera non è una specie domestica che riguarda solo l’uomo per i nobilissimi prodotti dell’apicoltura o per l’impollinazione delle colture agrarie, ma che è invece una specie selvatica, anche quando allevata, e come tale deve essere tutelata e conservata, anche per garantire un futuro all’apicoltura e all’agricoltura. La cosa interessante è data poi dal fatto che tutte le recenti ricerche scientifiche dimostrano che la conservazione delle sottospecie autoctone e della loro diversità genetica, messa a rischio dalla selezione spinta e dall’esagerata moltiplicazione da parte dell’uomo di alcune linee genetiche, sono fondamentali per garantire produttività all’apicoltura stessa. La Carta di San Michele all’Adige è stata accolta molto positivamente dalla grande maggioranza degli apicoltori italiani. Certo ci sono state anche delle polemiche, ma si sono sopite proprio perché quanto questo documento propone è del tutto ragionevole e condivisibile. Bisogna ricordare che sulla base di questo documento scientifico negli ultimi anni due nuove leggi regionali sull’apicoltura, quella dell’Emila-Romagna e quella del Lazio, hanno visto inserire la tutela genetica della locale sottospecie, cioè di Apis mellifera ligustica.

Proprio domani a Pantelleria si conclude il convegno internazionale sull’ape mellifera in natura. A quali risultati si arriverà?

Apis Silvatica è il primo convegno interamente dedicato all’ape mellifera anche e soprattutto come componente degli ecosistemi. Lo studio di questo organismo allo stato selvatico è quasi all’anno zero e per questo il Parco nazionale Isola di Pantelleria, luogo dove ci sono moltissime di queste colonie selvagge, coadiuvato da un vasto comitato scientifico coordinato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e dall’Università di Palermo, ha chiamato a congresso da tutto il mondo ricercatori e personalità di istituzioni private e pubbliche dedite in questi ultimi anni allo studio di questa nuova tematica. Il congresso è iniziato il 16 maggio e avrà come finale la sottoscrizione di un documento per porre all’attenzione la necessità di tutelare le colonie selvagge di ape mellifera. L’enunciazione della Carta di Pantelleria sarà dunque un evento fondamentale a livello internazionale.

A chiusura del convegno verrà annunciata anche una nuova proposta di legge.

Esatto. Proprio domani, in coincidenza con la giornata mondiale per le api, verrà annunciata una iniziativa tutta italiana e cioè la presentazione di una proposta di legge di iniziativa parlamentare per la tutela di tutte le api da un punto di vista della biodiversità, senza entrare in conflitto con l’attuale legge nazionale dell’apicoltura, ma in alcuni casi specificandone alcuni aspetti alla luce delle più attuali conoscenze scientifiche. La nuova proposta di legge nasce dalla stretta collaborazione della Presidente della Commissione ambiente della Camera dei Deputati, Alessia Rotta, con il Comitato tecnico scientifico tutela api autoctone, sorto sulla scia della Carta di San Michele all’Adige. La legge tratterà la tutela di bombi, osmie, api solitarie, colonie selvatiche di ape mellifera sia da un punto di vista ambientale che genetico. Con una legge come quella che verrà proposta, l’Italia si porrebbe all’avanguardia per quanto riguarda la tutela delle api e non solo per avere una delle migliori apicolture al mondo.

I cittadini cosa possono fare per la salvaguardia di questi insetti?

Dobbiamo porre molta attenzione alla gestione dell’ambiente, soprattutto del verde privato o pubblico che sia. Avere distese di prato inglese, senza erbe e piante che nutrano le api e la biodiversità non ha senso. Ma anche la tanto sbandierata piantumazione di alberi non è sempre e ovunque una soluzione sostenibile. Gli habitat di cui le api e la biodiversità hanno bisogno sono le praterie ricche di specie vegetali. Una colonia selvaggia di api da miele, anche quando si insedia nel muro di una casa abitata, è una grande risorsa della natura. Per censire e monitorare nel tempo queste fondamentali colonie, in Fondazione Edmund Mach abbiamo creato una app per cellulari, BeeWild, che attraverso una tipica azione di citizen science sta portando un grande contributo scientifico e di civiltà. Ospitare nella propria casa, nel proprio giardino una di queste colonie selvagge deve essere un grande onore e per questo World Biodiversity Association ha lanciato il progetto Domus mellifera, dei nidi per api mellifere.