L’antropologo Chebel: giovani abbandonati seguono i fanatici
Malek Chebel Parte della gioventù delle banlieues si sente abbandonata ed è facile preda del fanatismo. Sono come dei born again, ritrovano un senso e un'identità. La sola soluzione è lavorare per l'integrazione. La radicalizzazione in carcere. Il peso del clima culturale del momento
Malek Chebel Parte della gioventù delle banlieues si sente abbandonata ed è facile preda del fanatismo. Sono come dei born again, ritrovano un senso e un'identità. La sola soluzione è lavorare per l'integrazione. La radicalizzazione in carcere. Il peso del clima culturale del momento
Malek Chebel è un antropologo delle religioni e filosofo, che ha dedicato la sua opera a far conoscere l’islam all’occidente e a proporre un “islam illuminista” (Manifeste pour un islam des Lumières, Hachette, 2004). Nel 2009 ha pubblicato una nuova traduzione del Corano e lungo la sua lunga carriera di saggista si è occupato anche dell’erotismo e del rapporto tra islam e corpo. Lunedi’ sarà in libreria il suo nuovo libro, L’inconscient de l’islam (ed.Cnrs).
Di fronte alla settimana tragica francese, quale è la sua interpretazione? Ci vuole una lettura più sociale o religiosa?
“C’è un doppio livello di lettura, francese e internazionale. In Francia, parte della gioventù musulmana si sente abbandonata da anni e cosi’ si è messa ad ascoltare ideologici fanatici. A livello internazionale, l’islam in crisi sviluppa un’ideologia della morte integralista. Poiché la caccia all’uomo è finita come è finita, adesso bisognerà riflettere a come ristabilire i legami con la gioventù musulmana”.
La marcia di domenica sarà un momento importante, anche per vedere la mobilitazione dei francesi di religione musulmana? Oppure è assurdo soffermarsi su questo, chiedere di prendere la distanze dalle derive estremiste?
“C’è una debolezza del sistema. C’è un avversario, che non viene nominato, ma che è ben presente: è la comunità musulmana. Tocca quindi ai musulmani dimostrare che non si puo’ dare cauzione a questi avvenimenti. Ma la via d’uscita sarà trovata – oppure no – sul terreno quotidiano: cosa farà che domani i giovani saranno maggiormente integrati? Oppure che lo saranno sempre meno? Solo quando si sentiranno maggiormente francesi si vincerà. In caso contrario, perderemo. Ma per il momento siamo sotto il dominio dell’emozione. E i musulmani ne hanno abbastanza di essere assimilati al terrorismo”.
Come mai sono i giovani di cultura musulmana oppure dei convertiti all’islam che si fanno sedurre dall’estremismo religioso, nel senso che le altre religioni non producono questi effetti?
“C’è una cronologia occidentale fatta di de-ritualizzazione. La chiesa cattolica fa di tutto per conservare i fedeli, mentre l’islam è in fase ascendente. Con una deriva settaria e fondamentalista. I giovani non si riconoscono né nell’ateismo, né nel marxismo, non sono massoni, ma diventano credenti. Con tutta l’opacità di un’ideologia religiosa della morte. L’occidente non capisce, abbiamo difficoltà a comprendere questa scelta”.
I due fratelli Kouachi e Coulibaly erano francesi, avevano frequentato le stesse scuole dei nostri figli. Cosa non ha funzionato?
“Fino a che punto sono andati a scuola? Come sono stati accolti? Hanno soddisfatto le loro ambizioni? Sono passati all’atto, tragicamente. Ma se non facciamo niente, se la sola alternativa che viene proposta loro è o di vivere come dei poveracci in una banlieue, di essere disoccupati o di farsi sedurre dai fanatici, avremo un fenomeno destinato ad accelerarsi con la crisi economica”.
Il sociologo Farhad Khoskohavar li definisce dei born again. E’ una spiegazione che condivide?
“Si, pensano di rinascere dalla desocializzazione di cui si sentono vittime. La resurrezione avviene con i viaggi in Yemen o altrove, si sentono esistere di nuovo, tornano, sono ben nutriti e ben alloggiati. Sarà molto difficile lottare contro questo fanatismo. Il corpo sociale non è un meccanismo ben oliato, è un insieme complesso, con velocità differenti, maturazioni differenti, muciche diverse, atmosfere diverse. Non si puo’ chiedere a tutti i giovani di reagire allo stesso modo”.
C’è poi il ruolo centrale svolto dal carcere nella radicalizzazione di questi individui.
“Della radicalizzazione in carcere si parla da anni. Ma poi non viene fatto nulla. Troppe cose sono contro di noi, il messaggio del magnifico vivere assieme come cittadini responsabili non passa. Dopo le reazioni di oggi, c’è il rischio che tra due-tre settimane tutto venga dimenticato e tra 6 mesi o un anno ci siano altri Kouachi, perché nessuno avrà fatto il necessario per venire incontro a questi disperati. Siamo di fronte a un’inadempienza collettiva. Ma per farvi fronte ci vogliono soldi, delle strutture pubbliche determinate. Invece, gli estremismi gettano olio sul fuoco. L’atmosfera era pesante in questo periodo, con le prese di posizione di Eric Zemmour o il libro di Houellebecq, con un razzismo ormai mostrato alla luce del sole, senza che nessuno reagisca”.
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