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«L’antisemitismo cresce col complottismo»

«L’antisemitismo cresce col complottismo»Una delle scritte apparse ieri davanti a due istituti scolastici di Pomezia

Intervista Scritte antiebraiche comparse davanti a due scuole di Pomezia. Parla il sociologo Stefano Gatti dell’Osservatorio del Cdec di Milano. «Questi ultimi episodi evocano forme un po’ vecchie, come quelle dei neonazi degli anni ’70. Negli ultimi 20 anni invece, con i social, è tornato l’odio "cospirazionista"»

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 13 febbraio 2020

Dopo Torino e Mondovì ora anche Pomezia. Mentre il capoluogo piemontese si prepara a rispondere lunedì prossimo all’odio antiebraico con una manifestazione, ieri nella cittadina laziale sono comparse scritte antisemite davanti a due scuole impegnate in un percorso di memoria storica: il liceo Pascal e l’Istituto di Largo Brodolini, dove tra pochi giorni sarà ospite Gabriele Sonnino, testimone della Shoah. Un episodio che ha sollevato un coro di sdegno, ma soprattutto ha suscitato la ferma condanna degli stessi studenti. Gli anticorpi dunque ci sono, nel Paese ma, come registra la relazione annuale dell’Osservatorio antisemitismo della fondazione Cdec che sarà pubblicata la prossima settimana, nell’ultimo anno c’è stato un incremento del 70% di casi di antisemitismo: dai 197 del 2018, ai 251 registrati nel 2019, di cui 173 da ascrivere al mondo del web. Ne parliamo con il sociologo Stefano Gatti, ricercatore dell’Osservatorio del Cdec, diretto da Betti Guetta, che dalla fine degli anni ’60 ogni anno registra le segnalazioni ricevute dagli utenti tramite una hot line, analizza web e mass media, e collabora con l’Oscad, organismo della polizia che si occupa di discriminazione.

Dai vostri dati si evince un effettivo aumento degli episodi di antisemitismo?

Sì e no. Da qualche anno aumentano gli episodi di antisemitismo a livello globale, con differenze di aggressività per ciascun Paese. Da noi è principalmente verbale e dimora soprattutto nel mondo virtuale, in Germania si tinge di violenza, in Francia c’è un antisemitismo che uccide. Ultimamente però il tema è più sotto i riflettori, perciò abbiamo più segnalazioni del passato. Anche se, effettivamente, antisemitismo e razzismo in generale, sono stati un po’ sdoganati.

Cosa pensa di questi ultimi casi registrati a Torino e a Pomezia?

È una forma di antisemitismo vecchio, un po’ da neonazi degli anni ’70. E però è anche preoccupante, perché non si tratta solo di scritte su qualche muro di periferia ma in scuole dove è atteso un testimone della Shoah. Per non parlare della vera e propria minaccia espressa con le svastiche sulla porta di un cittadino dal nome ebraico, o di qualcuno legato alla Resistenza: ecco questo è un livello un po’ più elevato. Particolarmente preoccupanti sono poi episodi tipo lo «Shoah party» – la chat di Whatsapp con la quale nel 2019 alcuni giovani praticavano antisemitismo, pornografia, razzismo, violenza, neonazismo, in un mix terribile – perché dimostrano come certi virus abbiano infettato mondi che prima erano salvi, o quasi.

Se gli ultimi episodi vi ricordano una forma vecchia di antisemitismo, che faccia ha quello di questi ultimi decenni?

L’antisemitismo di estrema destra c’è sempre stato, e oggi torna forse perché ispirato dal clima generale. Ma c’è sempre stato anche quello legato alla sinistra radicale – che si mostra da noi più con la diffamazione e le aggressioni verbali on line – e all’islam fondamentalista, che però in Italia non è presente. La novità relativa invece è la galassia complottista e cospirativista. Questo è piuttosto interessante perché la struttura portante dell’antisemitismo in Italia è il complottismo, con annessi i vari miti della cospirazione. La retorica del complotto, del giudeo-bolscevismo, nasce da ambienti reazionari ma nell’ultimo ventennio, con lo sviluppo delle piattaforme social, i temi del cospirativismo si sono diffusi e hanno perso i confini ben precisi. Pensi a quanti politici oggi fanno riferimento a teorie complottiste.

Il negazionismo come modello di pensiero, dallo sbarco sulla luna fino alla Shoah?

Sì, ed è un discorso molto pericoloso perché dire «tutto è una menzogna» vuol dire rifiutare anche la democrazia. È un modello che descrive anche le elezioni come un inganno. Quindi anche la democrazia diventa una «truffa». E naturalmente in questo contesto è facile che attecchisca chi promette di spazzare via tutta questa falsità e di portare al governo gli «interessi veri della gente».

Dunque, in epoca di populismo al potere non c’è da stupirsi se il 15% degli italiani, secondo l’Eurispes, nega in parte o totalmente il genocidio della Shoah?

Non sono un esperto di sondaggi e l’Eurispes è un istituto serissimo, però questo dato mi lascia un po’ perplesso. Credo che sia piuttosto frutto delle piattaforme social. Perché prima del 2004, ossia prima dell’introduzione del web 2.0, uno studio simile aveva rilevato una percentuale di negazionisti del 2,7% della popolazione italiana. Questo dimostra che, come avevamo avvertito allora, il diffondersi dei social alimenta l’ignoranza su alcuni temi, come la negazione della Shoah.

L’antisemitismo cresce di pari passo con la xenofobia e il razzismo?

L’odio contro gli ebrei è quello più antico e radicato. Che prospera tanto più in un clima, come quello attuale, di sdoganamento dell’odio in tutte le sue forme. Così, assieme alla svastica contro il «giudio» purtroppo registriamo il pestaggio violento di un ragazzo nero a Palermo. L’antisemitismo poi è il «canarino nella miniera» dei periodi storici più difficili, quando la crisi economica miete vittime e fa aumentare il livello di rabbia. In questo clima di odio generale, torna il pregiudizio dell’ebreo banchiere che fa fallire i Paesi.

Un dubbio: dare risalto mediatico agli episodi più banali di intolleranza, come una scritta su un muro, non rischia di innescare l’emulazione?

Sì, in effetti, è giusto parlarne però bisogna essere cauti nel dare risalto a questo tipo di notizie perché si rischia di alimentare il fenomeno. Anche questi ultimi episodi sanno un po’ di copycut. A volte, bisogna saper dosare la luce dei riflettori. L’allarmismo non fa mai bene.

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