L’antimafia al lavoro nella città di Flavio Tosi
Verona Per la presidente della Commissione Rosy Bindi la città scaligera "è un punto di fragilità nella regione Veneto dal punto di vista delle inflitrazioni della criminalità organizzata". Per il sindaco sono solo "parole strampalate che si inseriscono in un clima da campagna elettorale"
Verona Per la presidente della Commissione Rosy Bindi la città scaligera "è un punto di fragilità nella regione Veneto dal punto di vista delle inflitrazioni della criminalità organizzata". Per il sindaco sono solo "parole strampalate che si inseriscono in un clima da campagna elettorale"
Si comincia con una semplice commissione prefettizia. Poi, si vedrà. A ficcare il naso nelle faccende che accadono all’ombra del comune di Verona è la parlamentare del Pd Rosy Bindi. Ma in veste di presidente della Commissione parlamentare antimafia. Solo l’idea – e sarebbe la prima volta che in Veneto si innesca un processo che potrebbe anche portare al commissariamento per mafia di una città – di per sé rappresenta un colpo molto duro per il leghismo veneto e per il sindaco Flavio Tosi.
Per Rosy Bindi la città amministrata da Tosi (che correrà alle regionali di maggio con una lista autonoma sfidando il suo ex partito e il governatore in carica Luca Zaia) sarebbe addirittura “un punto di fragilità nella Regione dal punto di vista delle infiltrazioni della criminalità organizzata”. La considerazione è stata fatta ieri durante una conferenza stampa nella Prefettura della città scaligera: “Riteniamo di chiedere alla Prefettura e al Comitato per la sicurezza di rivalutare la possibilità di nominare una commissione d’accesso per il Comune di Verona”, ha detto la parlamentare del Pd. Significa andare a vedere laddove nessuno si è mai spinto prima d’ora.
Ma il sindaco non sembra preoccupato: “Mi sembrano francamente affermazioni strampalate, che ben si inseriscono nel clima di una campagna elettorale, utili solo a trovare spazio e titoli sui mass media”. Per Tosi, in altre sprezzanti parole, “la Commissione presieduta dalla signora Bindi deve pur simulare una qualche utilità”.
Si tratta solo di un primo passo. La Commissione prefettizia, infatti, ha solo il compito di verificare gli atti della giunta di Flavio Tosi, di valutare eventuali infiltrazioni o condizionamenti di tipo criminale ed eventualmente di inviare una relazione finale al governo; solo a quel punto il governo potrebbe decidere l’eventuale scioglimento del consiglio comunale per mafia. L’ipotesi, clamorosa, è remota. Lo ha lasciato intendere la stessa Bindi, “le Commissioni di accesso valutano i fatti, acquisiscono elementi, questo non presuppone l’ulteriore atto che è quello dello scioglimento, perché lo possono escludere”.
Del resto, tanto per tranquillizzare i veronesi, ma forse ottenendo l’effetto contrario, la Bindi ha precisato che “è stata nominata anche al Comune di Roma dopo i noti fatti”. Gli altri membri della Commissione presenti a Verona hanno sottolineato la “fragilità” di Verona per una questione di natura geografica: “E’ zona di confine con la Lombardia, che è la quarta regione ‘ndranghetista”. Si tratterebbe dunque solo di una azione di prevenzione, come ha spiegato il parlamentare veneto del Pd Alessandro Naccarato.
A destare particolari preoccupazioni ci sarebbe un’inchiesta della Procura di Bologna sulla famiglia Grande Aracri che ha rilevato gli interessi della cosca nell’urbanistica veronese. Secondo gli inquirenti bolognesi, un esponente della cosca avrebbe incontrato il sindaco Tosi e il vicesindaco Vito Giacinto (già condannato in primo grado per concussione). Uno scenario a tinte decisamente fosche per Claudio Fava, che della Commissione antimafia è vice presidente. Le sue considerazioni sono pesanti: “Qualsiasi altra amministrazione comunale nelle condizioni di quella di Verona avrebbe subito la proposta di scioglimento per infiltrazioni mafiose. A Verona la prefettura ha deciso invece, con grave sottovalutazione, di non procedere nemmeno con la commissione di accesso”.
Per Fava c’erano gli elementi per agire diversamente: “Un vicesindaco condannato a cinque anni per corruzione, un’impresa collegata a famiglie mafiose calabresi presente nei più importanti appalti, rapporti investigativi altrettanto inequivocabili dei Ros di Catanzaro: il rischio di condizionamento dell’attività amministrativa è stato grave ed attuale. Ci preoccupa la superficialità con cui molti di questi elementi sono stati sottovalutati da chi aveva il dovere e gli strumenti per intervenire”.
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