L’antifascismo spiegato a Sallusti
Nella nostra Costituzione sta scritto a chiare lettere che la partita col fascismo va considerata chiusa una volta per tutte. Nella sua genesi e nei suoi principi ispiratori essa è […]
Nella nostra Costituzione sta scritto a chiare lettere che la partita col fascismo va considerata chiusa una volta per tutte. Nella sua genesi e nei suoi principi ispiratori essa è […]
Nella nostra Costituzione sta scritto a chiare lettere che la partita col fascismo va considerata chiusa una volta per tutte. Nella sua genesi e nei suoi principi ispiratori essa è inscritta nel processo doloroso e sanguinoso di uscita dal regime totalitario e ne incorpora il ripudio. Per ogni ideologia, organizzazione o forma di propaganda che si richiami a quella esperienza non c’è spazio di legittimità possibile, né possibile tolleranza.
È vero che nella pratica politica repubblicana ci fu a lungo una forma di accomodamento che permise agli eredi del fascismo, pur circondati da una sorta di cordone sanitario che raramente si ruppe (uno dei casi fu il luglio Sessanta, quando fu poi ripristinato a furor di popolo), di competere sotto spoglie mutate alla vita della democrazia. Ma in linea di principio l’assunto non è mai stato smentito. Tant’è vero che quando il leader del neofascismo, Gian Franco Fini, volle nel 1994 partecipare alla competizione per il governo del paese nella coalizione berlusconiana, dovette fare omaggio formale alla Costituzione e riconoscerne la matrice antifascista, compiendo tra l’altro una serie di gesti simbolici inequivoci, come l’omaggio alle Fosse Ardeatine, tra i massimi simboli del martirio italiano per mano nazifascista, e la condanna delle leggi razziste del 1938.
Se non si parte da questo punto fermo, il dibattito che periodicamente si ripropone su fascismo e antifascismo, e che anche quest’estate è riaffiorato più volte nei talk show sulla scia dell’odioso episodio antisemita ai danni del deputato del Pd Fiano e della proposta di legge di cui egli è primo firmatario, deraglia in banali battibecchi o peggio in indecenti simmetrie senza fondamento storico. A distinguersi in questo senso è stato il direttore del Giornale, il quale – forse suo malgrado – è stato chiamato più volte a fare la parte di quello che minimizza la gravità delle esibizioni plateali di un fascismo riaffiorante, aggrappandosi al luogo comune secondo cui se si proibisce la propaganda fascista si deve anche proibire la propaganda comunista. Per farsi capire, egli ha più volte fatto l’esempio delle vie o piazze intitolate a Stalingrado, senza che gli agguerriti conduttori (e purtroppo neppure autorevoli eredi del fu partito comunista italiano) fossero in grado di chiarirgli le idee.
Nell’argomentare, egli ha farfugliato che intitolare una via a Stalingrado significa fare l’apologia di una città che a sua volta celebra la gloria di un feroce dittatore. Quindi, per proprietà transitiva, significa fare l’apologia di Stalin. Ma se è lecito fare l’apologia di Stalin perché si dovrebbe proibire quella di Mussolini? Appoggiandosi a tale traballante sillogismo egli ha mostrato di ignorare quello che uno studente alla maturità non dovrebbe ignorare e probabilmente non ignora, ossia che il nome di Stalingrado evoca un drammatico episodio della seconda guerra mondiale, la prima grande sconfitta delle armate hitleriane in una gigantesca battaglia terrestre. Dopo la sequenza di vittorie che dal 1939 lo avevano fatto dilagare nel continente da Ovest a Est, fu quella, grazie alla resistenza eroica e al contrattacco disperato dei sovietici, l’inizio della fine del nazismo, il sospirato segnale della possibile vittoria della coalizione antifascista comprendente inglesi, americani e sovietici.
Era l’inverno del 1942-1943. Di lì a pochi mesi il regime fascista sarebbe crollato e su questo fronte avrebbero cominciato a combattere e a morire i partigiani italiani, sotto la guida dei partiti antifascisti. Evidentemente, il direttore del Giornale ha dimenticato questa grande e terribile pagina delle storia europea e mondiale.
A tutti quelli come lui, a tutti coloro che, incoraggiati dal clima dilagante di stravolgimento della storia, si permettono di considerare fascismo e comunismo come due aberrazioni uguali e contrarie, bisogna ricordare una semplice cosa: la nostra Carta costituzionale, quella che permette loro di esternare liberamente le loro opinioni e i loro strafalcioni, porta – accanto a quella del presidente provvisorio della Repubblica – la firma del presidente dell’Assemblea costituente, il comunista Umberto Terracini.
I comunisti furono – nel bene e nel male – tra gli autori principali della Costituzione, essendo stati uno degli attori principali del movimento di Liberazione. Durante i lavori dell’Assemblea il comunista Antonio Gramsci, il maggiore interprete del pensiero marrxista italiano, oggi studiato in tutto il mondo, vittima della persecuzione fascista, nel decimo anniversario della sua morte fu celebrato da tutti i partiti antifascisti (per la Democrazia cristiana da Giovanni Gronchi) come un eroe e un martire della causa comune e più semplicemente della civiltà.
È sufficiente questo per capire la differenza o occorre altro?
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