L’anti-bambolina che disse: «Non subirò il ricatto delle rughe»
Addio Jane Birkin Icona di stile nel segno di una «casualità» che su di lei diveniva eleganza assoluta. Hermès le dedicò la famosa borsa, lei tolse il nome per il trattamento dei coccodrilli
Addio Jane Birkin Icona di stile nel segno di una «casualità» che su di lei diveniva eleganza assoluta. Hermès le dedicò la famosa borsa, lei tolse il nome per il trattamento dei coccodrilli
Sebbene nata in Inghilterra, Jane Birkin è stata la perfetta incarnazione di un certo stile francese, quel modo nonchalant di indossare le cose. Tutto ciò che si metteva addosso, fossero abiti, jeans, camicie da uomo, microscopiche gonne, maglioni quattro taglie più grandi, stivali allacciati, un paniere di vimini come borsetta sembrava che lo avesse pescato a caso in un mucchio di abiti appallottolati dentro l’armadio. Dava l’idea di infischiarsene di ciò che indossava. Proprio per questo il risultato era un’eleganza assoluta, quel tocco di indifferenza grazie al quale è la persona a dare vita a un indumento, non il contrario.
C’è chi studia anni per arrivare a quel risultato, e non sempre ci riesce. A Jane Birkin veniva naturale, come se quel modo di portarsi nel mondo lo avesse inventato lei, così lontana, fisicamente, dall’erotismo esibito di una Brigitte Bardot, dal fascino algido di una Catherine Deneuve, dal magnetismo di una Jeanne Moreau.
NON BASTA essere alte e magrissime e senza seno, come era Birkin, per diventare un’icona di stile. Per assurgere a personaggio, e restarlo per decenni, tenendo testa a compagni dalla personalità ingombrante, come Serge Gainsbourg, serve un cervello, bisogna essere presenti a se stesse, saper farsi domande, cercare risposte, avere interessi, essere curiose del divenire, saper cambiare dentro. Il resto, il fuori, arriva di conseguenza. La cosa curiosa di Jane Birkin è che, mentre il suo dentro evolveva, il suo fuori è rimasto più o meno uguale agli inizi, stessi capelli un po’ spettinati, stessi abiti come cascati addosso, stessa magrezza. Una sola cosa aveva cambiato, si scopriva di meno, vestiva quasi solo jeans comodi e maglie larghe. «Al momento mi va bene così – disse in un’intervista – non ho voglia di diventare come una vecchia bambola e preoccuparmi delle rughe. Ci ricattano con la paura delle rughe. C’è una pubblicità che dice “Adesso non le hai, ma ti verranno”. Non voglio obbedire a questo gioco. E poi se metti le gonne ti devi preoccupare di come sono le gambe, e quindi devi indossare dei collant, e poi delle scarpe magari con il tacco. Bah, travestimenti. Non ho voglia di travestirmi».
QUANDO nel 1984 Jean-Louis Dumas inventò per Hermès la borsa Birkin si ispirò proprio a lei che, seduta accanto a lui su un volo Parigi-Londra, si lamentava di non aver trovato nulla di utile per una giovane madre quale lei era (era nata da due anni la terza figlia, Lou Doillon). Nel 2015 Jane Birkin chiese che il suo nome fosse tolto dalla celebre borsa per protestare contro il cattivo trattamento riservato ai coccodrilli in un allevamento del Texas da cui Hermès si serviva. La casa di moda aumentò prontamente i controlli e continuò a versare le royalties all’attrice. I coccodrilli continuavano a essere sacrificati, ma con più gentilezza, e da quel momento Jane Birkin girò il ricavato ad associazioni benefiche.
Con l’avanzare dell’età aumentò il suo impegno umanitario, ma sensibile lo era anche da giovane e lo dimostrò con queste parole: «Su certi temi non mi esprimo perché se si parla del mio culo e poi della pena di morte, trovo che si banalizzi un tema molto importante. Ho paura che associare la mia immagine, che molti ritengono frivola, a una causa così drammatica rischi di fare più danno che bene».
Riguardo alla propria immagine, una sola cosa ha sbagliato, quando si arricciò i capelli. I ricci non le stavano bene, diventavano qualcosa di ridondante sul quel sorriso tutto denti, quegli occhi sgranati, quegli zigomi ossuti. Lo capì in fretta. E infatti la ricorderemo spettinata, quasi selvaggia.
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