Internazionale

L’Anp cede, il gas di Gaza sarà sfruttato in accordo con Israele

Gas naturale Lo sviluppo è emerso a margine della riunione al Cairo dell'East Mediterranean Gas Forum. Per quasi venti anni i palestinesi non hanno potuto scegliere liberamente i partner con cui sfruttare il giacimento davanti alle coste di Gaza

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 17 gennaio 2020
Michele GiorgioGERUSALEMME

L’Autorità nazionale palestinese si piega alle condizioni poste da Israele per lo sfruttamento del Marine Gaza, il giacimento di gas naturale al largo delle coste della Striscia di Gaza. Il gas palestinese, se la trattativa appena cominciata andrà in porto, sarà estratto e commercializzato passando per le compagnie israeliane mettendo fine a un braccio di ferro che dura da quasi venti anni. Lo sviluppo, confermato al manifesto da un funzionario governativo dell’Anp, è emerso a margine della riunione di ieri al Cairo dell’East Mediterranean Gas Forum che include paesi interessati al gas nel Mediterraneo orientale. Tra questi Egitto, Grecia, Francia, Italia, Giordania, l’Anp e Israele divenuto un colosso del gas naturale grazie ai suoi giacimenti scoperti negli anni passati.

 

Fu la British Gas che fece le esplorazioni nel 2000 e giudicò sfruttabile il Marine Gaza, il “Dono di Allah” come definì il giacimento lo scomparso presidente palestinese Yasser Arafat. Il Marine Gaza in realtà non è ampio – si stima che contenga 32 miliardi di metri cubi di gas, per un valore di 4 miliardi di dollari – ma potrebbe garantire 15 anni di energia a Gaza e Cisgiordania e la costruzione di impianti per la produzione di elettricità, di cui la Striscia ha urgente bisogno, senza dover ricorrere alle forniture israeliane ed egiziane. Israele, sulla base degli accordi di Oslo, riconobbe che il Marine Gaza è gas palestinese. Ma ad oggi il giacimento non è stato sfruttato per gli ostacoli posti proprio da Tel Aviv: inizialmente interessata a garantirsi l’acquisto del gas palestinese a un costo inferiore rispetto a quello di mercato e in seguito a scopo politico, per tenere Gaza sotto pressione dopo che nel 2007 Hamas aveva preso il controllo della Striscia.

 

Due anni fa l’anglo-olandese Royal Dutch Shell ha rinunciato alla propria partecipazione al Marine Gaza, lasciando come unico stakeholder il Palestine Investment Fund, non in grado di dettare alcuna condizione. Non c’è stato peraltro, nel corso degli anni, alcun intervento del Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue) affinché ai palestinesi fosse lasciata la possibilità di decidere liberamente con quali partner sfruttare il Marine Gaza. Da qui la decisione dell’Anp di cedere alle condizioni di Israele, anche per garantirsi l’ingresso nelle sue casse notoriamente vuote di centinaia di milioni di dollari in royalties.

 

Non solo. Israele, ormai ricco di gas da vendere – ha cominciato le forniture di gas all’Egitto e alla Giordania, anche se la Camera bassa di Amman, che si riunirà domenica, vorrebbe fermarle con una legge -, è pronto a ridare slancio al progetto di un suo gasdotto verso la Striscia di Gaza in discussione dal 2015. Grazie a finanziamenti europei (pare promessi dai Paesi Bassi), il gasdotto – che secondo alcuni rientrerebbe nell’accordo di cessate il fuoco a lungo termine tra Israele e Hamas di cui si parla da tempo – permetterà il trasferimento annuale di un miliardo di metri cubi di gas dal Negev a Gaza.

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