L’animus bestiale di Giulio Andreotti
Dall'archivio Dal manifesto dell'11 agosto 1988 l'editoriale contro la censura al film di Martin Scorsese "L'ultima tentazione di Cristo". Questo articolo è stato riproposto nella newsletter speciale "Cuore di Cannes" dedicata al Festival francese del cinema in corso in questi giorni
Dall'archivio Dal manifesto dell'11 agosto 1988 l'editoriale contro la censura al film di Martin Scorsese "L'ultima tentazione di Cristo". Questo articolo è stato riproposto nella newsletter speciale "Cuore di Cannes" dedicata al Festival francese del cinema in corso in questi giorni
Dal manifesto dell’11 agosto 1988 l’editoriale contro la censura al film di Martin Scorsese “L’ultima tentazione di Cristo”. Questo articolo è stato riproposto nella newsletter speciale “Cuore di Cannes” dedicata al Festival francese del cinema in corso in questi giorni
Il can-can pubblicitario intorno al film di Martin Scorsese che è valso a una Biennale cinema in crisi titoli da prima pagina, si è acceso di una luce sinistra coerente con l’immagine di un’Italia che scoppia di arroganza dc.
Così il ministro degli esteri Giulio Andreotti, «mandante» dell’incursione squadrista al comune di Roma, scende in campo nella polemica sull’Ultima tentazione e, forte del suo passato di censore, argomenta con grazia sulla necessità di bloccare il film su Cristo, secondo i desideri espressi da Gianluigi Rondi, consigliere dc della Biennale, e di Franco Evangelisti, presidente dell’ufficio nazionale spettacolo democristiano.
Scrive Andreotti nella sua rubrica Bloc Notes (Europeo): «Un rispetto basilare per certi valori è segno di civiltà e non di clericalismo». E’ quel «certi valori» che suona sinistro. Non sono certamente i nostri.
Andreotti però per risultare più convincente fa un esempio «democratico»: «Se si avesse ad esempio un soggetto obiettivamente irriguardoso su Maometto, la protesta degli islamici non sarebbe da criticarsi, né confondere con il culto della libertà» (ricordiamo che Andreotti è uno specialista nel censurare anche i film «non irriguardosi» verso l’Islam, come l’antifascista II leone del deserto).
Ragionamento tutto interno a un inconfondibile stile intimidatorio per cui ad Andreotti non viene neanche in mente che c’è una differenza tra la critica (meglio se dopo aver visto il film e non, come nel suo caso, per averne solo sentito parlare) e la censura.
«Scorsese ha dichiarato – scrive ancora il ministro – che la sua sensazione era addirittura di star compiendo una preghiera. Ma deve guardare all’impatto sul pubblico e non solo all’animus di chi concepisce e produce». Altro«principio» schiettamente autoritario e obsoleto nell’epoca dell’industria culturale (e di una, per lui spiacevole, maggiore «democrazia del consumo»), secondo cui l’arte, l’artista hanno un «animus» umano (o divino) e il pubblico, il consumatore, un «animus» bestiale.
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