Dettaglio di copertina da "Anima latina" di Lucio Battisti
Dettaglio di copertina da "Anima latina"
Visioni

L’«Anima latina» di Lucio Battisti, apocalittico e integrato

Note sparse Riedizione in 23Bit/192kHz- nel cinquantenario - per l’album del cantautore di Poggio Bustone
Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 25 settembre 2024

«Quando uno parla in mezzo agli altri, non urla ma non tace neppure. Se la sua voce interessa a chi ascolta, viene individuata, magari con un po’ più di attenzione, con un po’ di fatica». Così Lucio Battisti nella celebre intervista a Renato Marengo (Ciao 2001) del primo dicembre 1974.

Con un po’ più di attenzione, con un po’ di fatica, si possono leggere in quelle parole i prodromi della sua sparizione.

Prima di negare corpo e immagine al pubblico, Lucio gli sottrae il conforto di un ascolto leggero: dissimula l’anatomia della canzone in una forma da concept album e immerge la propria voce nel missaggio, tra corde, percussioni, fiati, sintetizzatori, a spregio degli usi e costumi della discografia italiana. Che già non gliela perdonava prima, quella voce esile e poco educata.

Tanto vale, avrà pensato lui, «stimolare gli altri a capire le parole, ad afferrare il senso o la sola sonorità», a concentrarsi sull’ascolto, «perché ascoltare significa qualcosa: e ascoltare con attenzione, magari rimettendo il disco daccapo perché non si è capito, è un’operazione stimolante, coinvolgente; è il modo che ho scelto per comunicare con gli altri, per essere presente in mezzo agli altri, per essere quello che dà il pretesto, lo spunto ad un’azione, ad un’operazione».

L’esigenza di un ascolto attivo e i primi segni dell’imminente sparizione

UN’OPERAZIONE che oggi sa di esperimento storico con la riedizione di Anima latina, rimasterizzata a 24Bit/192kHz dai nastri originali per Sony Music in occasione del cinquantesimo anniversario.

Un rinnovato censimento degli ascoltatori attivi tanto cari a Battisti, in lizza con lo streaming che come la critica coeva non ha certo premiato l’album: provate a cercare su Spotify l’iconica copertina di Cesar Monti tra le «uscite popolari», o una sola delle sue tracce — già poco radiogeniche nel 1974 — nella top ten dell’artista.

All’epoca dell’uscita fu il pubblico a trainare la rivalutazione critica del disco, portandolo in cima alle classifiche per tredici settimane consecutive, poi i poli si sono progressivamente invertiti. Sarà interessante misurare l’effetto della riedizione e delle altre uscite commemorative (Arcana annuncia Anima latina: Anatomia di un capolavoro, candidato a erede della minuziosissima ricostruzione storica di Renzo Stefanel).

Con un po’ più di attenzione, con un po’ di fatica, si può individuare in Anima latina la faglia tra il Battisti che è stato e quello che sarà (e avrebbe potuto essere), «l’azzeramento di una personalità monumentale» — ancora lui — e la sua massima umanizzazione; con una dichiarata autoironia di cui danno prova la parodia bandistica dei Giardini di marzo in Anonimo e la generale irrisione del dongiovannismo (a dodici anni dal suo Don Giovanni) nei testi e nella loro interpretazione.

Lucio Battisti
Lucio Battisti, foto Ansa

MA L’ALBUM del 1974 è anche lo specchio di un panorama musicale votato alla ricerca e alle dichiarazioni di indipendenza dall’Impero Discografico Britannico — almeno sul piano concettuale — che accomunano la rotta sudamericana di Battisti a quelle dei ricercatori folk e prog già in odore di world. E dei tanti artisti internazionali, da Bowie a Gabriel, che lungo lo stesso percorso si affrettano ad assicurarsi il controllo diretto della produzione; anche se per Anima latina il Mulino battistiano, in attesa di essere allestito per le registrazioni, sarà utilizzato solo per le prove (ma non è poco).

In cabina di regia, Lucio troverà un modo in più per rivendicare l’autorialità negatagli dai gatekeeper del campo cantautorale e per operare all’interno di quel medium di massa che è la discografia cercando di ridisegnarne i confini, apocalittico e integrato allo stesso tempo.

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