Si dice che le città hanno un’anima. Se ciò è vero, l’anima delle città sono i centri storici? Anche essi, prima di diventare centri storici, erano stati città, dove la vita associata scorreva in modo intenso, se non incalzante. Città piccole sì, ma compiute, definite, attrezzate e riconoscibili per attività lavorative (commerci, servizi, traffici) e attività ricreative: le une e le altre tese a soddisfare bisogni e aspirazioni dei cittadini. I viaggiatori che vi arrivavano, più che alla forma costruttiva e all’immagine architettonica di una città, si soffermavano sull’aspetto caratteriale dei suoi abitanti. Il ritorno di quei viaggiatori dipendeva non da quanto fosse attrattiva una città in senso lato, ma specificatamente dal grado di accoglienza che ricevevano. Il tipo di rapporto instauratosi risultava essenziale affinché di una città si potesse argomentare in termini lusinghieri o, all’opposto, denigratori. Si viaggiava per conoscere le città, certo, ma prima ancora i cittadini. Poi, nel cuore di esse, nei nuclei plurisecolari via via intaccati dal tempo e dalle contaminazioni del progressivo sviluppo tecnologico è stata avviata la pratica del restauro. Il cui significato, in una parola, è conservazione. Conservazione (concetto che sa di vecchiume) dei nuclei urbani originari ai quali nel corso del ’900 si è attribuita la definizione di «centri storici». Che per meglio tutelare con le loro emergenze artistiche e ambientali da deturpamenti o peggio sventramenti dettati da mire speculative, sono stati chiusi e preclusi, allontanando traffici, servizi, commerci e residenti.

Così che gli enti territoriali, tralasciando di pianificarne il futuro, hanno demandato all’imprenditoria privata la rivitalizzazione dei centri storici. Ad attuarla è bastata la presenza capillare di ciò che risulta essere l’elemento costitutivo del tempo libero: ristorazione e bed and breakfast, in funzione turistica. E gli effetti si sono prontamente precisati: in metà dell’anno museificazione o, se si preferisce, ghettizzazione dei luoghi; nell’altra metà massificazione, con conseguente omologazione di ciò che viene commercializzato e offerto. In un caso e nell’altro, dunque in maniera continuativa, i centri storici, espulsi i nativi nei quartieri esterni, sono diventati tutt’altra cosa che città. Dubitiamo che i «viaggiatori per caso» del nostro tempo (i turisti), aggirandosi in stradine e slarghi di un qualunque centro storico, cerchino di relazionarsi con uno del posto (a trovarlo!) e non piuttosto con l’ambulante dello street food che propone lattine di birra e ritagli di pizza. Spetterebbe inoltrarsi nelle spoglie e monotone periferie al novello viaggiatore che abbia voglia di farsi un’idea, attraverso il proletariato prevalente che le abita, dell’essenza ultima nonché dell’anima di una città.