Curioso, vulnerabile, poroso di conoscenza come una spugna, innocente come la creatura di Frankenstein, incerto nei movimenti sulle lunghe gambe metalliche, i gridolini di paura e le orecchie da coniglio, Chappie è decisamente più vicino allo spielberghiano A.I. che al minaccioso Al ideato da Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio. Frutto dell’immaginazione di Neil Blomkamp (e apparso per la prima volta – sotto forma di finto spot pubblicitario- nel corto Tetra Val) questo robot poliziotto potenziato di facoltà quasi umane da un genio dei computer (Dev Patel) è l’ultimo eroe della distopia made in Joburg (è il soprannome di Johannesburg) sul cui sfondo l’autore sudafricano ha ambientato i suoi precedenti film, District 9 ed Elysium. 

Come gli altri due film dell’ autodichiarato discepolo di David Fincher, Ridley Scott e Michael Bay, pur confrontandosi con i luoghi del grande cinema d’azione da Studio, Chappie mantiene la sua sensibilità saldamente ancorata nell’emisfero meridionale, per un effetto sottosopra. Anarcoide, irriverente, «sporca», spesso cattiva, sempre virata di punk, la sensibilità di Blomkamp e della sua opera, in effetti, ricorda meno la serie A della Hollywood del terzo millennio che (anche quando nel cast ci sono Jodie Foster e Matt Damon, come in Elysium) il cinema di genere politico di Corman e della sua factory. Alla stranezze e all’alterità di Humandroid contribuisce ancora di più la presenza di Ninja e Yo-landi Visser, ovvero il duo hip hop sudafricano Die Antwoord, che il regista ha voluto a tutti i costi, nonostante le perplessità della Sony, e per i quali ha re-immaginato la sua storia da Los Angeles a Johannesburg.

Armati di mitra color pastello, ricoperti di tatuaggi ma impegnati in un ménage famigliare comico/zuccheroso come quello di una sitcom, Ninja e Yo-landi Visser sono una coppia di piccoli criminali che vivono ai margini di una fatiscente metropoli del futuro, in cui la violenza viene arginata da un esercito di poliziotti robot, gli Scout. Deon (Patel), l’ingegnere che li ha disegnati, è al lavoro su un modello più evoluto che potrebbe sentire e pensare come un essere umano, ma la sua capa (Sigourney Weaver) non gli da’ ascolto e un suo collega (Hugh Jackman) fa pressione perché gli Scout vengano sostituiti non da versioni più elaborate, sensibili, di sé stessi ma –in linea con il trend della militarizzazione della polizia- da robot/macchine da guerra più grosse, più feroci e aggressive. Per approfondire in segreto i suoi esperimenti, Deon trafuga un robot/poliziotto con la batteria difettosa e carica sulla sua memoria i nuovi programmi. Quando Ninja e Yo-landi Visser glielo rubano si trovano di fronte l’equivalente di un bambino piccolo, tutto da formare, e decidono di educarlo alla loro versione di una vita del crimine – con le buone, e più spesso con le cattive maniere. Per esempio, in una scena dolorosissima (che rimanda non solo a certi traumi dell’universo spielberghiano, ma anche ai momenti più terrorizzanti di Bambi e Hansel e Gretel) abbandonandolo in una zona malfamata dove dei giovani teppisti lo riempiono di botte riducendolo così male che Chappie riesce a stento a ritrovare la via di casa.

Alla fine, quello che vogliono tutti e tre – il robot e i due gangsters sgangherati- è una famiglia, anche se non proprio come quelle di Spielberg. Accolto con poco entusiasmo dalla critica Usa, la storia di questo A.I. fatto di rottami, si muove su un pianeta di detriti, simile a quello di Wall – e ha dalla sua l’energia formale tesa, «cattiva», e la coscienza sociale degli altri due film di Blomkamp. Ma è anche un’implausibile miscela di sentimentalismo e iperviolenza. Una parabola per bambini che però non possono andare a vederla. Alla terza collaborazione con il regista, Shalto Copley (la voce e si presume parte dei movimenti del robot) sta a Blomkamp come Andy Serkis a Peter Jackson.