Una lettera per sfidare direttamente Giorgia Meloni. La Cgil chiede una convocazione urgente delle «parti sociali più rappresentative» per discutere tutte le questioni più di attualità, in primis la legge di bilancio.

La missiva di Maurizio Landini a palazzo Chigi chiede di «aprire un confronto negoziale sul rinnovo dei contratti, la crescita dei salari e delle pensioni, una legge sulla rappresentanza e il salario minimo, il superamento della precarietà e un piano straordinario di assunzioni nel settore pubblico».

IL SEGRETARIO DELLA CGIL afferma di voler portare «direttamente» all’attenzione della premier «la necessità di convocare un incontro con le parti sociali comparativamente più rappresentative stipulanti contratti nazionali ed accordi interconfederali (escludendo quindi Ugl e Confsal che invece sono sempre convocate in sala Verde da Meloni, ndr) per verificare le condizioni di avvio di un confronto negoziale finalizzato a favorire: la reale tutela e crescita del potere di acquisto di salari e pensioni; il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro pubblici e privati». Questo, spiega Landini, «sia in termini di risorse da inserire nella legge di bilancio, sia in termini di recupero dei ritardi nei rinnovi, sia in termini di intervento fiscale per sostenere aumenti salariali netti adeguati alla situazione inflattiva. Arriva poi lo storico cavallo di battaglia di Landini, richiesto fin dal 2010: «la definizione di una legge sulla rappresentanza che cancelli i contratti pirata, certifichi la titolarità dei soggetti negoziali, assegni così valore generale di legge ai contratti collettivi, garantisca il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare i contratti che li riguardano e di poter eleggere le Rsu in ogni luogo di lavoro». Non manca infine il «salario minimo»: «fissare una quota salariale oraria minima valida per tutti i contratti nazionali affinchè nessuna persona che lavora possa essere retribuita con una paga oraria inferiore» assieme a «un piano straordinario di assunzioni in tutto il settore pubblico (dalla sanità all’istruzione) comprensivo della stabilizzazione del personale ancora precario».

LA MOSSA DI LANDINI ha poi una seconda valenza. Sbugiardare la fakenews spacciata direttamente da Giorgia Meloni sulla manifestazione del 7 ottobre che la presidente del consiglio spaccia per uno sciopero preventivo contro la manovra. In realtà si tratta della seconda tappa della mobilitazione già decisa a fine maggio da una quarantina – ora salite a un centinaio – di associazioni laiche e cattoliche unite in «Insieme per la costituzione» che hanno già riempito piazza del Popolo a Roma il 24 giugno per difendere il sistema sanitario nazionale in nome dell’articolo 32 della carta.

La seconda manifestazione – in realtà fissata per il 30 settembre ma posticipata di una settimana a causa di motivi di ordine pubblico per la concomitanza con il Concistoro e una veglia ecumenica di papa Francesco a piazza san Pietro – sarà sabato 7 ottobre nel pomeriggio nella più grande piazza San Giovanni. Ha un programma vasto – contro autonomia differenziata e precarietà, per la difesa e l’attuazione della Costituzione – e un nome non nuovo: «La via maestra». Proprio 10 anni fa – il 12 ottobre 2013 – Landini e la Fiom lanciarono una manifestazione in difesa della Costituzione con Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelski e don Ciotti contro il progetto dell’allora governo Letta di riforma costituzionale che coinvolgeva Berlusconi.

IL PARALLELO RILANCIA un movimentismo della Cgil – nel 2013 la manifestazione fu lanciata dalla sola Fiom di Landini – che risponde anche alla voglia di mobilitazione dei suoi 5 milioni di iscritti, ancor più in vista della assai probabile spaccatura sindacale dei prossimi mesi.

Della lettera di Landini è stato preventivamente avvertito Pierpaolo Bombardieri, a conferma di un asse ormai collaudato. Nessun contatto invece con Luigi Sbarra che da settimane continua ad accusare esplicitamente la Cgil di aver già deciso di scioperare – stessa posizione di Meloni – depotenziando il confronto con il governo.

Con la lettera, dunque, Landini ribalta il gioco, lasciando a Meloni l’onere di decidere se convocare o meno le parti sociali. Se non lo facesse, la Cgil (e la Uil) avrebbero facile gioco a contestare la chiusura al dialogo. Allo stesso modo, se la convocazione arrivasse ma il governo non portasse proposte sul tavolo, lo schema sarebbe praticamente identico.
Insomma, il cerino ora è nelle mani di Giorgia Meloni (e di Gigi Sbarra).