Lanati, il Village e i luoghi alternativi di casa nostra
Frammenti Il libro dell'americanista su «The Village Generation», pubblicato da ombre corte
Frammenti Il libro dell'americanista su «The Village Generation», pubblicato da ombre corte
L’americanista torinese Barbara Lanati ha scritto un gran bel libro su The Village Generation, in inglese nel titolo (edizioni ombre corte) in cui ricostruisce l’ampia e variegata storia di minoranze intellettuali e artistiche americane in realtà di più luoghi e anni, e non solo del Village newyorkese, e anche di minoranze politiche o, se si può dire, pre-politiche, in senso largo ma talvolta anche stretto… Le spiagge di Provincetown e il deserto del New Mexico vi hanno il loro posto, alla pari col Village, perché in periodi diversi sono state lo sfondo prescelto da uno o più gruppi come luogo di vita e di confronti. Il cinema ha cantato spesso queste situazioni.
Ho pensato: ma in Italia è esistito qualcosa di simile, sono esistiti luoghi pubblici prescelti da una o più generazioni per ritrovarsi tra persone di ideali simili e di modi di vivere propri, un mondo vicino o dentro quello comune, borghese o proletario che fosse, ma con propri confini e proprio luogo, non solo area di pensiero o culla di comportamenti, luogo fisico di strade piazze locali. La vecchia Heidelberg delle operette, mettiamo, ma anche il Quartiere Latino a Parigi, e luoghi simili in altre piccole e grandi città, e non soltanto in Europa.
Sarebbe un bell’argomento per chi volesse imitare Lanati cercando luoghi e storie simili in Italia, che so? La Porta Romana o la Brera milanesi degli scapigliati, la san Salvario degli studenti torinesi, piazza Bellini o piazza san Domenico a Napoli, che è a due passi dall’università, in certi momenti Trastevere o san Lorenzo a Roma: posti che un tempo si sarebbero detti di bohème, dove ritrovarsi tra simili, ma diversi dal resto della popolazione per stili di vita e per ideali. Sì, ogni città grande o media ha avuto e ha i suoi luoghi di incontro di giovani e di diversi di vario tipo, e ci sono ancora luoghi scelti da giovani che vi trovano o vi aprono locali dove conoscersi e dialogare, di marginali per obbligo e di marginali per vocazione… a volte trafficati anche da quella che i francesi chiamavano la pègre e gli italiani la mala, ai margini della legge.
Oggi, in tante città, sono i luoghi frequentati anzitutto dai giovani immigrati, in cerca di calore comune, e da chi ama mescolarsi con loro, per motivi diversi ma soprattutto perché vi si respira una vitalità che altrove è assente. Vi si respira! E non parlo dei marginali per forza, che la società respinge allontana per evitarli.
Questi luoghi – più frequenti e organizzati, mi pare, a Roma che in altre città – si animano la sera o nella prima parte della notte, e aspettano ancora il Pasolini che li canti, e perlustri e racconti anche se qualcuno a perlustrarli e raccontarli ci ha provato, meglio di tutti Nicola La Gioia non troppo tempo fa. A Milano, ma in anni più lontani, lo fecero egregiamente Umberto Simonetta e lo stesso Arbasino, a Napoli il compianto Enzo Moscato, ma trattando delle marginalità più evidenti.
Di loro – dei loro frequentatori più malmessi, quelli che ci stanno perché non li si aiuta a trovare di meglio – si occupano oggi soltanto certe organizzazioni cattoliche (che sanno bene come tra i più poveri dei loro assistiti avrebbero bisogno di un ricovero e di una cura, non solo di un pasto caldo… Ricordo con una certa commozione quanto fece tanti anni fa a Roma il prete Di Liegro, che ho ben conosciuto, per gli immigrati più emarginati e per i malati di Aids, mentre la sinistra latitava (e continua a farlo).
Beninteso, non è di questa marginalità che Lanati ci racconta, bensì di una marginalità culturalmente all’avanguardia, attiva e non silenziosa, che ha aperto la strada agli hippies e ai contestatori, e che è stata tanto culturale (in senso artistico e soprattutto antropologico) quanto a suo modo politica, come anticipatrice e stimolatrice di movimenti giovanili aperti e attivi.
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