L’anarchismo coscienza critica e intransigente del vivere civile
Storia «L’anarchismo. Teoria, pratica, storia» di Andrea Salvatore (DeriveApprodi) dirada la cortina di pregiudizi che nei secoli si è alzata su questa nobile prospettiva politica, offrendo un quadro lucido dei suoi obiettivi critici, delle sue proposte e del suo percorso evolutivo
Storia «L’anarchismo. Teoria, pratica, storia» di Andrea Salvatore (DeriveApprodi) dirada la cortina di pregiudizi che nei secoli si è alzata su questa nobile prospettiva politica, offrendo un quadro lucido dei suoi obiettivi critici, delle sue proposte e del suo percorso evolutivo
«Gli anarchici li han sempre bastonati», cantava Guccini nel 1976, riassumendo la storia travagliata di un movimento i cui membri sono sempre stati malvisti, perseguitati, fucilati. Se per vittoria si intende l’imporsi definitivo di un obiettivo, perseguendo l’eliminazione di ogni forma di dominio l’anarchismo ha sempre perso. Eppure sono numerosi i risultati delle lotte anarchiche di cui ancora oggi, inconsapevolmente, tutti beneficiamo.
RAPPRESENTANDO una sorta di coscienza critica e intransigente del vivere civile, gli anarchici hanno infastidito il quieto scorrere della storia al punto da meritare la peggior fama, sia essa dovuta a effettive esperienze controverse, come quella delle avanguardie terroristiche, sia essa dovuta alla diffidenza derivante dall’ignoranza. L’anarchismo. Teoria, pratica, storia di Andrea Salvatore (DeriveApprodi, pp. 208, euro 12) dirada la cortina di pregiudizi che nei secoli si è alzata su questa nobile prospettiva politica, offrendo un quadro lucido dei suoi obiettivi critici, delle sue proposte e del suo percorso evolutivo.
SALVATORE scioglie il pregiudizio sul legame presunto strutturale fra anarchia, violenza e caos. L’anarchia, anzi, nell’espressione di massima coerenza, si lega all’elaborazione filosofica della nonviolenza, in un arricchimento reciproco volto a sradicare non solo il dominio istituito con la violenza, ma anche il dominio che la violenza stessa rappresenta, fosse anche transitoria e funzionale a un fine più alto. Eppure tale pregiudizio permane, a legittimare l’esclusione dell’istanza critica che l’anarchismo anima collocandosi sul margine esterno di ogni realtà istituzionale, spesso scoprendola poggiata sul puro abbandono fideistico.
L’anarchico chiede conto della coerenza tra principi e strumenti con cui essi vengono perseguiti: per questo non può accettare la contraddizione di una convivenza pacifica raggiunta e conservata mediante la coercizione, fuori e dentro lo Stato. E proprio per questa destabilizzazione che l’anarchismo rappresenta, esso è riconosciuto come un’anomalia; è dunque identificato come violenza contro cui scagliare violenza legittima.
QUELLA ANARCHICA è una ricerca critica e autocritica di coerenza così pervicace da portare a una paradossale diversità di declinazioni di pensiero, prodotti di un dialogo incessante possibile proprio per l’assenza di punti insindacabili da difendere, che non sia quello della liberazione dal dominio e dalla coercizione. L’anarchico non ha un’immagine irenica dell’uomo, ma rappresenta la convivenza pacifica di liberi ed eguali come un intenso lavoro sulla realtà collettiva e individuale; per questo, decenni di riflessione anarchica hanno saputo elaborare proposte concretissime e interessanti.
Andrea Salvatore ci consegna un’occasione di confronto con una teoria e una prassi politica troppo preziose per essere ignorate. Ma ciò che ci viene offerto è anche la possibilità di revocare in questione dimensioni relazionali e istituzionali che siamo usi considerare naturalmente benefiche, al fine di ripensarle con rinnovata consapevolezza.
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