C’era chi per una battuta scherzosa su una cartolina inviata a un amico finiva in prigione, chi amoreggiava sul posto di lavoro, chi nei prati, sui tetti, nei letti fino alle cinque e trenta del mattino invece di scattare verso la fabbrica, oppure buttava all’aria tutta la tavolata apparecchiata per la cerimonia ufficiale. Sono alcune immagini dai film di Jaromil Jires, Jiri Menzel, Ewald Schorm, Milos Forman, Vera Chytilová, i più famosi esponenti della «nová vlna» ceca degli anni Sessanta, giovani allievi della Famu, la celebre scuola di cinema, arrivati alla notorietà internazionale, con l’Oscar a Menzel per Treni strettamente sorvegliati e le porte aperte alla distribuzione perfino in Italia con i film di Forman non certo per i sottili o gli aperti attacchi al sistema, ma per l’abbondanza di bionde discinte. Tra gli altri, la più brava della classe (come affermavano i suoi compagni) era Vera Chytilová. Spavalda, celebre anche per essere una delle rarissime cineaste riconosciute in quegli anni Sessanta, femminista senza mezzi termini.

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Miloš Forman, lo sguardo beffardo di un folle sognatoreANCHE questo distribuito in Italia alla sua uscita, ora torna in sala restaurato grazie alla Cineteca di Bologna il suo film Le margheritine (Sedmikrásky, 1966), occasione di raro divertimento, film che lavora come un rullo compressore sugli oscuri meandri del sistema comunista ceco, ma rappresenta anche un filo conduttore di quello che univa le giovani generazioni di tutti i paesi contro i conformismi, le guerre, i luoghi comuni da combattere, anche attraverso la fantasia al potere, come si vede dall’irrompere delle mode contemporanee, le immagini mediate dalla grafica e dalla psichedelia.La forma del film deriva dalla sua base concettuale. Poiché il concetto del film era la distruzione, anche la forma è diventata distruttiva (Vera Chytilová)
I suoi precedenti corti e mediometraggi erano dedicati a un’indossatrice (Il soffitto, 1961) come lei stessa era stata, a casalinghe e autentiche atlete in Qualcosa di diverso (1963), alle operaie in Un sacco di pulci (1962), a una oltraggiosa festa di nozze con omicidio e sposa in fuga con velo da fare a brandelli in Automat Svet (1965), quasi prova generale del film successivo.
Le margheritine che resta uno dei film più emblematici della nuova onda cecoslovacca è interpretato da due ragazze, una bionda e una bruna, classico canone del cinema, ma entrambe di nome Maria (Jitka Cerhová e Ivana Karbanová, due attrici non professioniste) convinte che tutto il mondo sia «viziato», così lo saranno anche loro e che «niente ha importanza, basta che sia uno scherzo». Così gli sberleffi si moltiplicano per strada, al night, al ristorante, in piscina, alla stazione, come a redigere una mappa di luoghi le cui regole sono da infrangere. Con il culmine nella fatidica scena nella sala dell’hotel allestita per un sontuoso banchetto di quelli che tenevano le autorità politiche, dove le due iniziano a divorare tutto quello che si trova allestito, fino a lanciarsi torte e dondolarsi sul lampadario di cristallo.

STRUMENTI di messa in scena di anticonformismo, affermazione di femminismo (l’emancipazione è già data per scontata) perché le due, insieme, conquistano l’intero spazio del film e distruggono tutti i vecchi stilemi cinematografici al loro passaggio, con la loro semplice presenza. E irridono alle regole, alle consuetudini della rigida società socialista, alle convenzioni sociali, prendendo e lasciando per strada corteggiatori e vecchi signori. Avide e golose, incuranti e spensierate, senza regole, le due mettono in atto la fantasia al potere. Ogni loro azione è una sfida alla noia, sentimento chiave espresso anche dalle altre nouvelles vagues europee contemporanee, ma dove la donna era chiaramente un oggetto di arredo e desiderio e mai un soggetto in azione.
E in parallelo il film sfida anche ai dettami delle autorità cinematografiche che mettevano al bando la sperimentazione (tutto il film è un caleidoscopio di ricerca), anche con l’apporto creativo del direttore della fotografia Jaroslav Kucera che già aveva contribuito a realizzare una magia di colori nel film di Wojtech Jasny Un giorno un gatto nel 1963 (ora su Mubi). «La forma del film deriva dalla sua base concettuale che è la distruzione» diceva Chytilová. A cercare bene si intuisce anche una certa forma di racconto morale (era proprio questo sospetto che faceva prendere le distanze ai Cahiers dalla nova vlná) ma occorre avere una visione complessiva di tutto un movimento non fatto solo di cineasti, ma anche d scrittori, poeti e musicisti le cui opere avranno la straordinaria funzione di cambiamento della società. Possiamo considerarlo lievito della primavera di Praga insieme agli altri prodotti intellettuali della sua generazione.

L’INSUBORDINAZIONE, come si sa non durò a lungo, la primavera fu stroncata, tutta una generazione di cineasti fu congelata, esattamente come Chytilová allude nel suo film Kalamita del 1980 dove un treno resta imprigionato in una valanga di neve, alludendo direttamente al lungo periodo in cui ai registi fu impedito di lavorare.
Le margheritine fu messo al bando da parte del partito comunista «per gli sprechi rappresentati» parallelamente alla richiesta di ritiro del film da parte di numerosi parlamentari «per nichilismo». Nonostante la partecipazione ai festival, i premi e il consenso internazionale, il film restò sotto censura durante il periodo della normalizzazione, chiuso nei cellari.