La tesi iniziale è che la parola amore esiste, come recitava il titolo del film di Mimmo Calopestri uscito nel ’98, ma spesso è così irretita nella propria retorica, dell’uso che se ne fa nel quotidiano, da perdere di senso. Ci pensa Roberto De Gaetano a ridarle significato, tanto più in relazione al cinema; a ricondurla in quell’alveo filosofico che le è proprio, attraverso un libro uscito di recente per Marsilio, Le immagini dell’amore, ulteriore precisazione del suo pensiero e del suo metodo che sono divenuti, a ben guardare, le coordinate essenziali della filmologia contemporanea, cioè di quella tendenza a far emergere dal coacervo di immagini, storie, di connessioni spesso enigmatiche tra scena e scena, dei principi, degli assunti ricorrenti, si potrebbe dire, delle ipostasi filosofiche sulla cui base germina il caos cinematografico.

ECCO ALLORA che l’amore è innanzitutto gioco, gioco inteso in senso nietzschiano; sperimentazione delle proprie facoltà, delle facoltà dell’io, della propria prerogativa d’essere in rapporto con quella dell’altro o dell’altra: «è un uso ludico della vita, guidato da regole che fondano la singolarità di un essere-in-comune del “due”, al di là di ogni passione bruciante o competizione narcisistica».
Il libro ruota intorno a questa definizione «libertaria» del vincolo d’amore (che non opprime l’altro ma lo riconosce nella sua singolarità, nella sua singolare libertà di movimento), alla base della quale agiscono i concetti deleuziani, ormai fondanti l’ermeneutica contemporanea e soprattutto la teoria del cinema, concetti quali territorio, deterritorializzazione, intervallo. Perciò l’amore è lo spazio aleatorio del «due», il «tra», l’ambito del transito, della potenzialità piuttosto che una zona stabile, accertata; è intervallo che si istituisce tra gli amanti nel momento stesso in cui l’«urto» dell’innamoramento li spinge a iniziare il gioco della vita. Viene in mente il Gioco del mondo di Cortázar in cui questo elemento ludico si rivela il più serio possibile e si fa scrittura concatenata, corpo, coreografia sessuale della libertà degli esseri, quando l’autore descrive una notte d’amore tra la «sua» Maga e Oliveira, il quale «la magnificò a costellazione, l’ebbe fra le braccia con sapore di sangue, le fece bere il seme che scorre per la bocca come una sfida al Logos, le succhiò l’ombra del ventre e del dorso e l’alzò fino al volto per ungerla di se medesima in un ultimo atto di conoscenza che solo l’uomo può dare alla donna». Ma potrebbe esserci anche il Musil del Compimento dell’amore, come effettivamente c’è, citato a un tratto da De Gaetano, e quindi Claudine che si spersonalizza per divenire «tenera particella», congegno amoroso al di là della persona, gioco appunto o forse meglio giocattolo, vibrante giocattolo attraverso cui si declinano di volta in volta gli infiniti passaggi d’universo.

È L’AMORE problematizzato dal romanzo – dal racconto di tipo romanzesco che riguarda, ovviamente, anche il cinema – a cui De Gaetano pensa sulla scorta di Lukàcs con lo scopo di individuare spazi d’amore imprevedibili, oscillanti tra felicità e dolore: ecco il problema, l’oscillazione, la problematizzazione dell’amore, al di là di ogni soluzione. Il romanzo, che squaderna i temi mostrandone gli strati, le contraddizioni, è una delle possibilità più plausibili per dare spazio all’alea dell’amore, ad assetti momentanei, provvisori, inediti. Se al centro del romanzesco c’è il problema (l’amore come problema), fulcro del melodramma è la passione, sentimento bruciante che si autoalimenta degli ostacoli frapposti tra gli amanti e usa l’altro come combustibile per il bruciare dell’«uno», per la sua ossessione (ossessione dell’immagine dell’amato), la sua malattia. L’altro non è più parte integrante e agente del tra-due, del gioco, cioè di quell’estetica condivisa che nello schema di De Gaetano è il rapporto amoroso, ma è l’origine del dolore, del mal d’amore, un pathos estremo sotto il cui tormento agisce la morte.

LA PASSIONE dissimula attraverso l’estremo dolore l’amore per la morte, come accade in Ultimo tango a Parigi o in Cold War di Pawlikowski, due dei film analizzati nel libro. Ma anziché per il melodramma imperniato sulla passione, e considerando il romanzesco ammissibile di stati transeunti d’amore, e il poetico (il lirico di Bright star) troppo estemporaneo, De Gaetano opta per la commedia come modalità più congruente al racconto d’amore, illustrandone i termini, i meccanismi scenici, e soprattutto, dal punto di vista filosofico, il «vuoto» dei costumi (per lo più del matrimonio) su cui si erge la solidità transitoria del sentimento amoroso, pronto a essere così costantemente reinventato dentro il gioco ermeneutico. È quel concetto di invenzione (invenzione della vita, della realtà attraverso il cinema) che ricorre spesso nei libri di questo autore divenuto capitale nel contesto della teoria cinematografica contemporanea, che ha il merito non solo di illustrare assiomi e principi filosofici, ma anche quello di scegliere decisamente l’angolazione da cui guardare il cinema, che è sempre un’angolazione vitalista, progressista, fiduciosa.