Visioni

L’America di Tori Amos

L’America di Tori AmosTori Amos – foto di Paulina Otylie Surys

Note sparse A tre anni dall'ultimo album, la cantautrice statunitense pubblica «Native invader», tra traumi privati e nazionali

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 13 settembre 2017

A tre anni di distanza da Unrepentant Geraldines, caleidoscopico ritorno alla grazia espressa nei suoi migliori dischi anni ’90, la cantautrice statunitense Tori Amos ritorna con il dolente Native Invader, quindici tracce sospese fra traumi privati (la malattia della madre) e «nazionali» (L’America nell’era Trump). A un primo ascolto, l’album sembra quasi un compendio di singoli e B-sides, vista l’assoluta varietà di stile, influenze e risultati ondeggianti ma, a un ascolto più attento, emerge con forza quasi un’essenza da grande romanzo americano, capace di fondere fin dal titolo, in un’unica storia universale, cosmogonia, politica e tragedie personali. Spiccano, tra le altre, le ballate per pianoforte «classiche» della cantautrice, come Bang e la spettrale Mary’s Eyes, o il sorprendente trip-hop di Wings.

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