Dov’è finita l’America democratica degli anni ’60 del secolo scorso che si mobilitava per i diritti delle minoranze e lottava contro il razzismo? Sarà il peso delle restrizioni di Donald Trump, le politiche annacquate dei suoi predecessori, oppure che quegli anni di intense mobilitazioni per i diritti civili, che hanno visto cantanti in prima fila, da Bob Dylan a Joan Baez, sono passati di moda? A riportarci a quel clima è una vicenda accaduta proprio in quel decennio, che riguarda il pugile afroamericano Rubin Carter, raccontata nel bel libro Hurricane. Il miracoloso viaggio di Rubin Carter (66thand2nd, euro 23) da James Hirsc, giornalista del New York Times e del Wall Street Journal.
L’ADOLESCENZA DIFFICILE
Un’adolescenza difficile, fatta di scazzottate e piccoli furti, portano Rubin Carter in galera più volte. Durante il servizio di leva, per una rivalsa tra diversi corpi militari, scopre il pugilato, nel quale dimostra di saperci fare fin dai primi colpi, mettendo Ko il campione di turno, la sua vita cambia all’improvviso, dalle camerate collettive passa a un centro di addestramento militare dove si allena ogni giorno, ha una camera tutta sua e usufruisce di un centro massaggi e della sauna quotidianamente.
HURRICANE
Dopo una serie di incontri vinti, Rubin Carter lascia la vita militare e si dedica al professionismo, nell’ambiente si affida ai procuratori della boxe, che sanno ben manovrare la borsa, il suo nome diventa «Hurricane», la sua rabbia vissuta e accumulata da bambino diventano pugni forti nei guantoni, le vittorie si susseguono e cambiano il suo tenore di vita. Bevute e donne incrinano il rapporto con la moglie, che da Carter ha due bambini. Una sera del 17 giugno del 1967, non pago di aver trascorso il tempo a bere nei vari locali con il suo amico Artis, uno spacciatore locale conosciuto in prigione, torna a casa a prendere un bel rotolo di dollari, i due vogliono divertirsi, andare a donne e offrire bottiglie di champagne. Mentre gironzolano a vuoto in città, a Paterson, nel New Jersey, nel bar Lafayette due uomini di colore entrano e sparano all’impazzata, uccidendo due uomini e una donna bianchi.
IL DELITTO SPREGEVOLE
Nell’America dal razzismo strisciante per la polizia è facile incolpare Hurricane e il suo amico, ma a scagionarli è un sopravvissuto alla strage, che seppur in condizioni gravi in ospedale, ricorda i volti di chi ha sparato. Paterson è una cittadina che aveva vissuto fino pochi anni prima i fasti dell’industria del carbone e del benessere collettivo, ormai in piena depressione economica, vuole i colpevoli di quella scena da far west, che il sindaco in cerca di un secondo mandato definisce «il delitto più spregevole» che sia stato commesso a Paterson. Facendo pressione su testimoni e qualche ladruncolo al quale avevano promesso uno sconto di pena, se avessero avvallato la tesi ordita dalla polizia, che aveva tutto l’interesse a uscire a testa alta dal brutto pasticcio, Hurricane, amante della bella vita, i vestiti di lusso e gli orologi d’oro, e perciò inviso alla comunità bianca, e il suo amico John Artis, che gli fa da autista-accompagnatore, finiscono in manette. Dopo le elezioni cittadine e la conferma del sindaco, i due pensano di uscire di galera, ma è solo un’illusione, il rinvio a processo e la complicità di giudici intrisi di razzismo, porteranno Hurricane in gattabuia con una pena pari a tre ergastoli.
BOB DYLAN
I tentativi di riaprire il processo, una tra le battaglie legali più famose e controverse degli Stati Uniti, falliscono. A nulla varranno le visite in carcere di Bob Dylan, che comporrà la canzone Hurricane (Ecco la storia di «Hurricane» /l’uomo che le autorità incolparono/ per qualcosa che non aveva mai fatto/ lo misero in prigione ma un tempo egli sarebbe potuto diventare/ il campione del mondo), nel 1975 apertura dell’album Desire, e i concerti a suo favore per sostenere le spese legali, neppure la mobilitazione dell’America democratica e le dichiarazioni di Muhammed Ali. Sarà una piccola e combattiva comune di Toronto a spuntarla e a portare Rubin Carter fuori prigione nel 1985. Hurricane vivrà in quella comune fino alla morte, avvenuta il 20 aprile del 2014.
LE MOBILITAZIONI DEMOCRATICHE
Il documentato lavoro di ricerca di Hirsch, che copre i vent’anni della vicenda, rappresenta una vera lezione di giornalismo rispetto ai pressappochisti nostrani protesi a scrivere libri dalle copertine sgargianti sulle biografie dei calciatori, che restano invenduti e riempiono gli scaffali delle librerie, riguarda un lungo periodo di violenze e discriminazioni razziali commessi negli Stati Uniti, tornati negli ultimi anni con prepotenza. Per i più giovani, la lettura di Hurricane, è un’occasione imperdibile per capire, attraverso la storia di un campione di boxe, quegli anni di grandi mobilitazioni democratiche, di battaglie vinte e perse, e di un’America dei diritti che proprio dopo la risoluzione del caso Rubin Carter forse ha smesso di lottare.