Una catena montuosa sacra che protegge Taiwan. A Taipei e dintorni la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company viene spesso chiamata così. Ama farlo anche lo stesso Morris Chang, che ha fondato la Tsmc col governo come maggiore azionista. Era il 1987, anno che oltre a sancire la fine della legge marziale del Guomindang ha anche posto i semi della leadership global di Taiwan nel campo dei semiconduttori. Oggi l’isola ha il 65,8% dello share globale di fabbricazione e assemblaggio, con Tsmc che da sola pesa il 55,3%. Il dominio è ancora più esteso dal punto di vista qualitativo. In un’industria nella quale “più piccolo è meglio”, i produttori taiwanesi detengono il 92% della manifattura di chip con meno di dieci nanometri, con il restante 8% in mano alla Corea del Sud.

Non è un mistero che l’industria dei semiconduttori taiwanese sia al centro dei desideri di Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese, che flirtano con un decoupling tecnologico che forse sarà, ma ancora non è. Taipei è tra i principali destinatari delle pressioni di Washington per recidere il cordone tecnologico che la lega all’altra sponda dello Stretto. Nelle scorse settimane, il ministero dell’economia ha annunciato la revisione delle regole per la vendita di componenti o impianti e per il trasferimento di tecnologie sensibili a controparti cinesi. Le aziende dovranno richiedere un’approvazione alle autorità, mentre finora dovevano solo notificarle delle transazioni avvenute.

Nel mirino soprattutto i semiconduttori, dopo che qualche settimana fa ASE Technology Holding, il più grande fornitore di servizi di imballaggio di chip al mondo ha venduto quote di due delle sue filiali cinesi a Wise Road Capital, una società di private equity coinvolta nel salvataggio di Tsinghua Unigroup. Il ministero della giustizia prevede invece di introdurre la necessità di un via libera formale per i viaggi oltre lo stretto dei professionisti taiwanesi che hanno lavorato a progetti con fondi governativi. A spaventare Taipei è la “campagna acquisti” di ingegneri dei chip portata avanti in modo aggressivo da Pechino alla ricerca di talenti.

Dall’altra parte, Taiwan appare sempre più coinvolta nella catena di approvvigionamento “democratica” che Joe Biden sta cercando di assemblare escludendo Pechino. La Tsmc ha annunciato l’apertura del suo primo stabilimento in Giappone, che godrà di un programma di sussidi statali studiato ad hoc spinto dall’ex premier Shinzo Abe, a testimonianza di quanto venga ritenuto cruciale il tema a Tokyo. Nel 2024 entrerà in funzione l’impianto in Arizona, ottenuto da Donald Trump in concomitanza del divieto di esportazione verso Huawei, che nel 2020 era ancora il secondo maggiore cliente di Tsmc. E il gigante di Hsinchu è in trattativa anche con India e Germania per l’apertura di altri due stabilimenti.

Ma la realtà è più complessa di come appare. “Lavoriamo regolarmente a progetti per clienti cinesi”, dice al manifesto un ingegnere di Tsmc che lavora a Hsinchu ma che a breve si trasferirà a Kaohsiung, in uno degli stabilimenti di prossima apertura. “Le tensioni politiche per ora non si sentono sulla parte operativa del nostro lavoro”, prosegue. Negli ultimi mesi, Tsmc ha fornito alla cinese Oppo le tecnologie per lo sviluppo di chip a 3 nanometri, più avanzati rispetto a quelli a 5 nanometri che verranno sviluppati in Arizona. Anche la SiEngine Technology, azienda di Wuhan specializzata nel design di chip dedicati all’automotive, utilizzerà prodotti targati Tsmc. Da una parte Tsmc produce chip utilizzati dagli Stati Uniti in ambito militare, a partire dagli F-35, dall’altra i rapporti delle aziende taiwanesi con Pechino appaiono ancora stretti. Dei 300 miliardi di dollari di importazioni cinesi nel settore, la maggior parte hanno come mittente Taipei.

“Al di là delle dichiarazioni ufficiali, Taiwan non conviene portare all’esterno intelligence troppo avanzata, né aiutare la diversificazione di una catena di approvvigionamento nella quale ora tutti sono dipendenti da lei”, spiega il dirigente di un’altra azienda operante sull’isola nel settore dei chip. E non solo per un discorso commerciale, nonostante il settore è arrivato a pesare oltre il 30% del pil taiwanese nel 2020, ma anche a livello diplomatico. In assenza di dialogo tra governi, i colossi tech fungono da ambasciatori diplomatici, come accaduto nell’acquisto da parte di Tsmc e Foxconn (entrambe operative nella Repubblica Popolare con grandi stabilimenti) di dieci milioni di sieri Pfizer dalla cinese Fosun Pharma all’alba della campagna vaccinale taiwanese.

I primi 11 produttori ODM (Original Design Manufacturer) mondiali sono tutti taiwanesi, così come sono sette dei primi dieci contract manufacturers. A Taipei conviene mantenere questa leva diplomatica nei confronti di Pechino. Non a caso, a fronte del possibile parziale inceppamento di quella leva diplomatica, Taipei chiede a Washington un’ambiguità strategica meno ambigua. Secondo report interni di settore, gli impianti di fabbricazione di chip in territorio cinese (tra quelli già operativi e quelli in costruzione) sono ora 91: un anno fa erano 66. Erano già raddoppiati tra il 2017 e il 2019. Il raggiungimento di una produzione ai più elevati standard di qualità potrebbe distare 5 o 6 anni. Ma i sussidi statali sono in costante aumento e la campagna di rettificazione dei colossi digitali in corso sta riorientando big come Alibaba o Tencent sul settore.

Per questo, Taipei sta cercando di anticipare ancora la concorrenza, come ha fatto decenni fa lanciando il modello di business allora rivoluzionario della fonderia pura dedicata alla produzione di chip per altre compagnie. Stavolta si guarda in direzione di auto elettriche e a guida autonoma. Il fabbisogno di semiconduttori per questo settore triplicherà entro il 2030 e i colossi di Taipei vogliono arrivare prima degli altri per ribadire un’indispensabilità che al momento appare ancora lontana dall’essere scalfita.

Nonostante le affermazioni del ceo di Intel, Pat Gelsinger, il quale ha chiesto alla Casa Bianca di limitare gli incentivi per i semiconduttori alle sole imprese statunitensi per ridurre la dipendenza da Taiwan, che ha definito “luogo geopoliticamente instabile”. Intel sta perseguendo la nuova strategia di produzione di chip per terzi, entrando dunque in concorrenza con la stessa Tsmc, che nel frattempo prova a tenersi “in casa” i principali segreti del mestiere.
Per continuare a proteggere Taiwan, quella montagna deve restare com’è: ammirabile da tutti, posseduta da nessuno. E con qualche segreto.