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L’ambiguità dell’eroe fascista al presente

L’ambiguità dell’eroe fascista al presentePierfrancesco Favino in una scena di "Comandante"

«Com’è possibile che un film così dichiaratamente antifascista sia strumentalizzato con tanta spregiudicatezza?». Edoardo De Angelis ha replicato con queste parole alle polemiche intorno alla proiezione del suo film "Comandante" a Spilimbergo

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 12 dicembre 2023

«Com’è possibile che un film così dichiaratamente antifascista sia strumentalizzato con tanta spregiudicatezza?». Edoardo De Angelis ha replicato con queste parole alle polemiche intorno alla proiezione del suo film Comandante a Spilimbergo. In una intervista a «Republica», insieme allo sceneggiatore di Comandante, Sandro Veronesi, è tornato dunque sulle polemiche legate alla presenza in sala di gruppo di persone in divisa nazista. Quello che poteva essere un cosplay seppure di stupida volgarità, appena la notizia viene ripresa , e messa in connessione al pronto intervento della Digos nel Loggione della Scala per identificare colui che ha gridato: «Viva l’Italia antifascista», diventa un caso politico. E su quel «dichiaratamente antifascista» rivendicato dagli autori proietta più di un interrogativo.

È ovvio che ogni opera ha una sua interpretazione, e che questa sta a chi la fruisce: ma la storia di Salvatore Todaro, il comandante del sommergibile Cappellini, che nel 1940 contro il parere dei suoi uomini decise di salvare i nemici belgi di un’altra imbarcazione affondata, davvero non si presta a ambiguità? Dimentichiamo Un’ora sola ti vorrei che ripulisce le marcette dei soldati dell’assai più plausibile Faccetta nera – o quel testosteronico «volemose bene» davanti a pasta-pizza-patatine fritte – che mangiare insieme fa stare insieme, lo dice pure Loach nella sua «Vecchia Quercia» ma da visioni assai diverse.

Prendere a esempio per sostenere una politica dell’accoglienza un militare fascista, seppure integerrimo nel comportamento verso il nemico, non è una cosa da niente perché il fascismo è quello delle aggressioni colonialiste, delle leggi speciali che privano dei diritti civili e deportano gli ebrei, degli omicidi di oppositori politici. Dell’alleanza con i nazisti, e col loro progetto di sterminio che si concretizza nei lager per milioni di persone. E poi: sono i migranti di oggi come i soldati nemici di una guerra? Il paragone è quantomeno azzardato.
Forse allora l’equilibrismo della difesa di regista e autori da qualche parte ammette il problema, ché non vederlo sarebbe ipocrita – e un poco in malafede, in fondo quel impadronirsene a destra con tanto di«carnavalata grottesca» – come la definiscono Veronesi e De Angelis – non è poi strano. Quei nemici erano militari non migranti, cosa di meglio per dei fascisti che un valoroso soldato fascista dalla condotta irreprensibile?

Ieri Io Capitano di Matteo Garrone ha ricevuto la nomina ai Golden Globe – una notizia della quale non si può che essere felici. Non c’è nessun rapporto tra questi due film, se non quell’assonanza nei titoli – Comandante, Io Capitano – che alla Mostra di Venezia, dove hanno avuto la loro anteprima, era sembrata bizzarra . Eppure a guardare bene proprio quel titolo fa la differenza: laddove si dice «Io» si assume è una presa di parola alla prima persona umana – non statistica – di qualcuno che vive il cammino dei migranti, come il giovane protagonista del film, e lo racconta, lo prende in mano sino al finale aperto, tutto da scrivere.

Nell’altro la dimensione salvifica di una Storia a uso contemporaneo, tra molte acrobazie – è un fatto di magnanimità individuale verso le sventurato (peraltro appunto pari seppure «nemico») non una questione politica. Ed è questo punto fondamentale che sembra sfuggire agli autori di Comandante: salvare in mare non può essere (solo) un fatto personale ma deve rappresentare un programma politico, morale della società tutta, a cui rispondono leggi, regole precise dell’accoglienza, diritti. I migranti non sono i soldati di un esercito a cui si è dichiarata guerra, sono persone che in pace cercano di costruire a prezzo della vita una possibilità di futuro per sé e per coloro che amano contro ogni pregiudizio, contro i sospetti, le strumentalizzazione di chi, appunto, li narra come «i nemici». Questa eguaglianza necessaria non è stata mai contemplata da nessun fascismo di per sé razzista. Che allora gente di destra gioisca in camicia nera del film non c’è da stupirsi. Che se ne sorprenda il regista invece sì.

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