L’altro Osama, non-violento palestinese
Storia di Osamah Tamimi, ragazzo di vent’anni del villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah, in Cisgiordania, che il 5 settembre arriverà nel nostro Paese, grazie alla mobilitazione dell’associazione AssoPacePalestina, per trascorrere due mesi lontano da pericoli, terrore e stress
Storia di Osamah Tamimi, ragazzo di vent’anni del villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah, in Cisgiordania, che il 5 settembre arriverà nel nostro Paese, grazie alla mobilitazione dell’associazione AssoPacePalestina, per trascorrere due mesi lontano da pericoli, terrore e stress
Dalla Palestina all’Italia, per sfuggire alla recrudescenza dell’occupazione militare israeliana. È la storia di Osamah Tamimi, un ragazzo di vent’anni del villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah, in Cisgiordania, che il 5 settembre arriverà nel nostro Paese, grazie alla mobilitazione dell’associazione AssoPacePalestina, per trascorrere due mesi lontano da pericoli, terrore e stress.
Per tutta la durata del visto, Osamah sarà ospitato prima dalla scuola di Vela di Pescia Romana, che in passato aveva accolto anche altri ragazzi palestinesi, dove farà volontariato; poi in altri luoghi, a cominciare dalla sede di AssoPacePalestina. Una misura, questa dell’allontanamento temporaneo, che si rende sempre più necessaria per i giovani palestinesi impegnati nella resistenza non violenta, per fare in modo che possano sfuggire alle incarcerazioni, ai raid e alle violenze dell’esercito.
Nel villaggio di Nabi Saleh, l’accoglienza e la voglia di comunicare sono palpabili ed è sempre grazie all’associazione AssoPace Palestina di Luisa Morgantini che gruppi di internazionali hanno potuto, in questi anni, conoscere i volti della resistenza, vedere i territori occupati e ascoltare le testimonianze. «La presenza di internazionali qui è per noi fondamentale, è parte della nostra vittoria – dice Bilal Tamimi, uno dei protagonisti della lotta non violenta di resistenza e padre di Osamah – perché una volta tornati alle loro vite potranno raccontare quello che vedono, far pressione sui loro governi, far conoscere le nostre storie».
E di storie, nel villaggio di Nabi Saleh, ne hanno molte da raccontare. Come quelle che filmava, la settimana scorsa, il volontario italiano Vittorio Fera che, armato di telecamera, documentava l’arresto e l’aggressione dei soldati israeliani ai danni di un ragazzo di 12 anni con il braccio ingessato. Il video del soldato e del ragazzo catturato è diventato virale su web nel giro di poche ore ed è la testimonianza di quanto filmare e scattare foto siano diventati strumenti integranti della resistenza palestinese, mezzi fondamentali e utili non solo ai processi, per far vedere chi sono gli aggressori, ma anche alla diffusione all’estero, grazie alla rete, di quanto sta avvenendo nella Cisgiordania.
Ora ci si chiede se Fera abbia una qualche responsabilità, ma non ci si chiede perché l’esercito israeliano si trovasse in un territorio in cui, in base ai confini del 1967, non dovrebbe mettere piede. Ma queste sono domande anacronistiche: Israele continua ad espandersi con le sue colonie e la comunità internazionale guarda in silenzio.
A Nabi Saleh, i palestinesi, insieme ad internazionali e ad israeliani che si oppongono alla politica coloniale di Tel Aviv, hanno fatto della non violenza lo strumento primo e unico della lotta. Questo borgo di oltre seicento anime, occupato fin dal 1967, minacciato dall’esercito e dalla colonia Alamish, costruita nel 1976 in un territorio che è stato dichiarato appartenere al villaggio palestinese, resiste. Resiste ai lanci di pietre e proiettili da parte dell’esercito che colpiscono indiscriminatamente e che hanno già fatto morti e feriti.
Resiste alle incarcerazioni e alle incursioni notturne, alle demolizioni delle case lungo la strada principale e ai lanci di quell’acqua chimica, dal colore verde, il cui cattivo odore resta per giorni e giorni addosso alle pareti delle case e alla pelle delle persone. Resiste anche al furto di acqua da parte dei coloni. Ogni venerdì, dal 9 dicembre 2009, anniversario della Prima Intifada, in questo villaggio, donne, uomini, bambini e volontari internazionali e israeliani protestano pacificamente contro l’occupazione e i suoi effetti.
Osamah Tamimi ha due cugini uccisi, una madre arrestata e ferita due volte da un proiettile che la fa zoppicare, un fratello e un padre feriti e arrestati più volte. Lui stesso è stato vittima del regime di apartheid visto che, a 14 anni, gli è stata negata l’entrata a Gerusalemme dove sarebbe dovuto andare a studiare. E due anni fa, nel tentativo di aprire una strada chiusa nel suo villaggio così da permettere a un’ambulanza di evacuare alcuni feriti, è stato colpito ad un occhio da un proiettile, facendogli perdere la vista per due mesi. Dallo scorso gennaio, la rappresaglia contro Osamah e la famiglia si è intensificata: raid notturni, irruzioni in casa, percosse, interrogatori e minacce.
Ed è per questo che AssoPacePalestina ha raccolto l’appello del padre e ha fatto in modo che Osamah potesse venire in Italia per due mesi, fino alla rotazione dell’attuale comandante israeliano in carica a Nabi Saleh. Un modo per evitare i pericoli più imminenti e avere alcuni momenti liberi dallo stress e dal terrore dell’occupazione.
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