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L’altro Keziah Jones a Villa Medici

L’altro Keziah Jones a Villa MediciKeziah Jones

Festival E' tutto un ribollire di suoni e immagini la settima edizioni di Villa Aperta all'Accademia di Francia, dove spicca un breve ma intenso live set del grande artista nigeriano

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 14 giugno 2017

È stata tutto un ribollire di suoni e immagini, la qualità principale di questa settima edizione di Villa Aperta. Il festival dell’Accademia di Francia a Villa Medici con i suoi happening di musica elettronica, dance e le varie declinazioni rock, si è riproposto quest’anno una nuova sfida, quella di affiancare l’arte visiva ai concerti e ai dj set nelle due serate di live con installazioni video, proiezioni, visuals psichedelici e mapping retrofuturistici votati al doping sensoriale e alla visionarietà cosmica. Una delle proposte più interessanti è stata da questo punto di vista l’esibizione di Keziah Jones, nata proprio su impulso delle proiezioni artistiche, un progetto unico e forse per questo così breve, venti minuti in tutto.«Villa Medici è un luogo meraviglioso ed è un vero incanto suonare qui, dovrebbero aprire le loro esposizioni anche all’arte africana, ci sono tanti artisti africani che meriterebbero di esporre le proprie opere qui», dichiara l’artista nigeriano che si è fatto le ossa come busker, e ama disegnare, dipingere e scrivere poesie. «Io dipingo per me stesso, come ispirazione per la mia musica, non ho mai esposto i miei quadri e i miei disegni».

Il suo set è tanto scarno, solo chitarra e voce quanto muscolare ed incisivo; in piedi, al centro del palco, infila quattro canzoni, una dietro l’altra, l’immancabile Rhythm is Love dal suo primo album Blufunk is a fact, che lo ha consacrato inventore del blu funk, miscela di blues (africano) e funk acustico. Un set più vistosamente «africano» rispetto al minimalismo e ai suoni glaciali che escono dal computer di Økapi, per esempio, che il pubblico sembrare apprezzare anche per il modo in cui lo slapping asciutto della chitarra di questo John Lee Hooker stretto nella camicia di forza del postfunk (tanto per parafrasare qualcuno), si accompagna con le proiezioni di Native Maqari e Simon Rouby, borsista di Villa Medici, e alle parole di Fela Kuti mentre snocciola il suo personale concetto di demo-cracy. «Fela Kuti è tra i miei musicisti preferiti, ma nella mia musica c’è una maggiore influenza della musica tradizionale Yoruba, del funk dei Parliament, amo molto anche John Coltrane e Miles Davis. I ragazzi più giovani in Nigeria come in altri posti dell’Africa ascoltano molto rap perché è uno stile che si sposa bene con la dura vita nei sobborghi di Lagos».

Il festival, nato con l’obiettivo di favorire l’incontro tra gli artisti più significativi della scena francese e italiana, mette perciò in cartellone accanto a nomi prestigiosi del french touch éléctronique come Ofenbach o The Avenger (in chiusura) anche tagliuzzatori di suoni come il già citato Økapi, dj-produttore e collagista elettronico romano, che ha presentato dal vivo Pardonne-moi, Olivier, 16 oiseaux pour Olivier Messiaen (Off Record) maggio «decostruttivista» ad Olivier Messiaen, compositore francese del XX secolo che per primo tradusse in musica il canto degli uccelli, opera «plunderfonica». Altri set che hanno avuto l’approvazione del pubblico sono stati quelli dei Joe Victor, anch’essi romani, votati allo swamp rock e i Combo Charlie, tra french electro rock con l’aggiunta di violino, fisarmonica, chitarra elettrica, combinati assieme al ritmo di un Dj.

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