Visioni

L’altro irriverente Jerry Lewis dallo sguardo post moderno

L’altro irriverente Jerry Lewis dallo sguardo post modernoJerry Lewis in una scena da «Fairfax Avenue»

Hollywood Una serie di home movies presentati al MoMa propongono un ritratto inedito dell’artista. Ne parla il figlio Chris che prosegue nella ricerca di materiali inediti

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 28 ottobre 2018

Orson Welles non è l’unico grandissimo autore «resuscitato» quest’anno grazie a materiali (nel suo caso la ricostruzione The Other Side of the Wind) finora mai visti. Si è appena conclusa al Museum of Modern Art The Unknown Jerry, un’imperdibile serie di home-movies, provini e outtakes di Jerry Lewis, restaurati dalla Library of Congress dove oggi è depositata la collezione del comico/regista. Suo figlio Chris, mi aveva parlato di questi materiali nel 1999, in occasione del Leone alla carriera conferito a Lewis dal festival di Venezia. Ma a quel tempo Jerry non voleva assolutamente che fossero visti. Ha cambiato idea solo poco tempo prima di morire, nel 2017. Quasi tutti realizzati prima che Lewis esordisse alla regia, con The Bellboy/Ragazzo tuttofare (1960), gli home movies, in particolare, sono una vera rivelazione. Divertentissime, molto irriverenti, popolate di amicissimi, come Dean Martin, Tony Curtis e Janet Leigh, più l’immancabile moglie di Lewis, Patti, queste produzioni Gar-Ron (dal nome dei figli di Jerry, Gary e Ron) sono spesso parodie di noti film hollywoodiani. Fairfax Avenue è Sunset Boulevard; Come Back Little Shiksa (1962), in cui Leigh è una ninfomane che insidia l’alcolista Martin, viene dal melodramma con Burt Lancaster Come Back Little Sheba/Torna piccola Sheba; The Re-Inforcer (1951), con Martin nella parte del gangster Joe Lasagna e Curtis in quella del suo rivale Baffo, è uno spoof The Enforcer/La città è salva, con Humphrey Bogart. Ne abbiamo parlato con Chris Lewis.

Può darmi un’idea delle dimensioni della collezione?

È difficile dire con precisione, ma se si contano tutte le copie originali dei programmi televisivi, parliamo di circa 3.000 scatole e rulli. In alcuni casi ci sono dei doppioni, un negativo e una copia. Ma gli home movies sono copie singole. E non li abbiamo ancora trovati tutti: credo che papà ne abbia regalato qualcuno qua e là , e che quindi ci siano ancora cose da scoprire.

Perché suo padre non ha voluto che questi materiali non fossero visti per così tanti anni?

Forse pensava che nessuno fosse interessato alla sua fase amatoriale. Ma, qualche anno fa, quando l’archivista della Library, Rob Stone, gli fece vedere una parte del restauro di Come Back Little Shiksa, rideva come un matto: «Mi ero dimenticato di quanto fossero belli!». Così ci ha dato via libera.

Quasi tutti gli home movies presentati sono precedenti a The Bellboy. Credi che sapesse già che voleva diventare un regista?

Credo di sì. Ma questi li faceva per divertimento. Papà era la star numero uno della Paramount. Se avesse chiesto di dirigere un film anche allora non avrebbero obbiettato: li faceva incassare così tanto! Papà adorava il process del cinema. Quando era su un set altrui cercava di assorbire tutto. Non riusciva a credere di essere pagato per fare film, la cosa che amava di più. Oggi, con il senno di poi, posso concludere che gli home movies fossero un modo di far pratica.

Sono molto affascinanti anche come riflesso del lifestyle della Hollywood di quegli anni…

Un lifestyle molto californiano -tipico di Pacific Palisades, un quartiere bellissimo, vicino all’oceano, dove era la sua casa. In quello, i film sono effettivamente una specie di macchina del tempo. I migliori amici dei miei genitori erano Tony Curtis e Janet Leigh. Dean (Martin) era praticamente di famiglia. Si trovavano sempre nel week end. Un giorno papà ha comprato una cinepresa 16mm e ha cominciato a fare film. Martin e Lewis erano all’apice della loro carriera. E gli home movies mostrano una versione inedita di Dean, molto più divertente e rilassato. Papà parlava sempre di come Dean fosse un grande comico. Qui finalmente lo si vede: doveva avere un umorismo fantastico per lasciarsi tormentare così. Janet era bellissima… Lei e Tony Curtis stavano diventando famosi. Gli home movies erano il loro sfogo, nel tempo libero. Una volta finiti, papà organizzava delle vere e proprie premiere. Sempre a casa -ma in vestiti da sera e black tie.

Sa quanto fossero elaborati tecnicamente?

Quelli più complessi, come The Re-Inforcer, erano sceneggiati, da mio padre o da Stanley Arnold. C’era sicuramente anche dell’improvvisazione, ma l’idea era di fare tutto «sul serio», anche se per gioco. Janet Leigh ha raccontato che aveva persino un contratto con la casa di produzione, Gar -Ron. Era un’idea che le piaceva moltissimo. Anche la postproduzione era fatta in casa: papà aveva una saletta di montaggio, una moviola, uno splicer…Ai primi degli anni ‘50 era una cosa molto avanzata. Cercava di essere il più professionale possibile.

Stilisticamente anticipano già quelli che sarebbero stati i suoi lungometraggi.

Si vede chiaramente che era lui a montarli: ogni sequenza finisce esattamente dove lui voleva che finisse. Papà aveva un tempo comico impeccabile. E strutturava i film per assecondarlo. Si vede già qui.

Mi sembrano anche molto inventivi nella loro qualità autoriflessiva, quasi post moderna.

Papà credeva molto nell’idea di coinvolgere il pubblico in quello che faceva. Una delle regole del cinema è non rompere il quarto muro – lui invece si rivolgeva spesso direttamente allo spettatore, come faceva in palcoscenico. Amava assaporare la reazione a quello che faceva. Una cinepresa non ti dà una reazione, ma lui recitava per chi stava dietro all’obbiettivo. Per quello guarda sempre in macchina. La complicità con il pubblico era molto importante.

Quanto è ampio il progetto di restauro delle collezione?

In alcuni casi, come lo screen test di Norman Taurog, è la prima volta che immagini e colonna sonora vengono messi insieme – non esisteva una coppia composita. Quindi ci troviamo di fronte a vere e proprie rivelazioni. Ci sono moltissimi screen test che non abbiamo nemmeno visto. Almeno 1000 scatole di film che non sono ancora in condizioni di essere proiettati.

Quando è diventato l’archivista di suo padre?

Da quando ero a scuola di cinema, negli anni settanta, ero deciso a prendermi cura dei film di papà e a mantenere il suo archivio. Nel corso degli anni ho cercato di mettere le mani su tutto quello che potevo e di raccoglierlo, da tutto il mondo. Ho iniziato nel 1995, e stiamo ancora cercando.

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