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L’altro calendario

L’altro calendarioMilano, manifestazione per il 25 aprile – Luca Matarazzo - Tam Tam

Storia L’Italia politica ha ragioni che la storia non conosce. Le varie «giornate» del ricordo riproducono interessi di parte e vere e proprie omissioni. Alimentando il patrio carattere vittimistico e una dimensione solo penale di accadimenti epocali

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 12 maggio 2013

Nel 2011 con il suo «La Repubblica del dolore» Giovanni De Luna tentò di aprire una riflessione meno emotiva e più centrata sulla necessità del sapere rispetto alla nostra storia patria.

Tuttavia il dibattito politico e pubblico in Italia ha continuato a limitarsi alla produzione di calendarizzazioni di date storiche del tutto prive, quando non deleterie, di alimento per la cittadinanza democratica. Ogni anno si aggiungono celebrazioni e ricorrenze tenute insieme da tre fattori assurti a paradigmi immutabili del «ragionare pubblico di storia»: quello della rimozione autoassolutoria, grazie al quale continua longevo a riprodursi il mito del «bravo italiano»; quello vittimistico, secondo cui l’Italia è costantemente oggetto e mai soggetto di processi ed eventi storici riferibili a fattori esogeni; e quello giudiziario, secondo il quale tutto è esclusivamente riducibile ad una dimensione penale della storia. 

L’Italia, priva di riflessioni critiche sulla sua storia che siano messe in condizione di uscire dai soli ambiti accademici sembra, dunque, avviarsi verso una celebrazione continua di date che più che contenere una funzione formativa hanno assunto un carattere indefinito e confuso quando non omissorio. In questo contesto, forse non casualmente, l’unico mese «risparmiato» rimane quello in cui ricorre la data più importante della democrazia repubblicana il 25 aprile, l’unico giorno certo di un paese pieno di amnesie.

27 gennaio, giorno della memoria

Istituito dal Parlamento italiano il 20 luglio 2000 con la legge n. 211: celebra l’ingresso dei carri armati sovietici ad Auschwitz e la fine del sistema concentrazionario di sterminio nazista contro ebrei, oppositori politici, testimoni di geova, zingari, omosessuali.
In Francia, visto il carattere internazionale della giornata del 27 gennaio lo stato ha deciso di affiancavi una data nazionale, il 16 luglio, giorno della ricorrenza del rastrellamento di oltre 13.000 ebrei a Parigi, con l’intento «pedagogico» di indicare direttamente il concorso e le responsabilità dei collaborazionisti francesi nella shoah.
In Italia, che a differenza della Francia aveva dato i natali al fascismo combattendo la seconda guerra mondiale al fianco della Germania hitleriana, la proposta di affiancare al 27 gennaio la data del 16 ottobre, giorno del rastrellamento di 1.024 persone dal ghetto ebraico di Roma, non trovò voti sufficienti per passare in Parlamento. Così la nostra rappresentazione patria dei campi di sterminio passa attraverso la ricostruzione di un’immagine che raffigura un carro armato russo che rompe il recinto di un campo tedesco sito in Polonia. Una «narrazione» da cui rimangono completamente assenti l’Italia e le sue responsabilità storiche di fronte alla condotta del regime fascista.

10 febbraio, giorno del ricordo

Istituito dal Parlamento italiano il 30 marzo 2004 con la legge n. 92 è dedicato alle vittime delle foibe e all’esodo della popolazione giuliano-dalmata. È una celebrazione controversa non solo perché non menziona in nessuno modo l’eredità dell’occupazione italiana in Jugoslavia sul piano del riconoscimento dei crimini di guerra fascisti nei Balcani ma anche perché non indica una data relativa alle violenze e uccisioni che furono compiute dagli jugoslavi, che nella vulgata mass-mediatica vengono tutte indistintamente riassunte con il termine ««foibe» o «infoibamenti». Tali eventi si verificarono, infatti, nel settembre 1943, dopo la rotta del regio esercito seguita all’armistizio, e poi nel maggio 1945, con l’arrivo dele truppe dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia comandato da Tito.
La scelta della data del 10 febbraio invece si pone de facto, pur senza essere esplicitamente rivendicata, come contestazione di legittimità del Trattato di Pace di Parigi firmato e ratificato il 10 febbraio 1947 che definiva in termini ufficiali gli assetti post-bellici dopo la guerra scatenata dagli eserciti nazifascismi tedesco e italiano in Europa.
Il 10 febbraio finisce così per condensare in un unico momento il mito autoassolutorio degli «italiani brava gente», la rimozione dei crimini di guerra del regio esercito e la dimensione vittimistica della nostra storia nazionale. Ieri questa «memoria contestativa» apparteneva principalmente ai reduci di Salò o agli eredi del fascismo, oggi viene chiamata «memoria condivisa».

17 marzo, festa dell’unità nazionale

Istituita con Decreto Legge n. 5 del 22 febbraio 2011, celebra l’anniversario della proclamazione del Regno d’Italia avvenuta con la legge n. 4671 del 1861 del Parlamento del Regno di Sardegna. Questa data omette la questione romana e il fatto che la nascita definitiva dello Stato italiano con Roma capitale si ebbe soltanto con la Breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 e la fine del potere temporale del papa re.
Il Vaticano non riconobbe alcuna legittimità alla nascita dello Stato unitario con Roma capitale.
Il fascismo con i «Patti Lateranensi» del 1929 (poi rinnovati dal governo Craxi nel 1984) sancì la composizione della frattura risorgimentale e abolì la festa del 20 settembre.
Scegliere il 20 settembre però avrebbe problematizzato, magari attualizzandoli, alcuni dei temi fondamentali e critici del rapporto Stato-Chiesa consegnando una dimensione storica complessa difficilmente componibile con questa «narrazione» a-conflittuale della vicenda dell’unificazione italiana.

9 maggio, le vittime del terrorismo

Istituito dal Parlamento italiano con la legge n. 56 del 4 maggio 2007 si propone di ricordare «tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice». La data indica il giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma. Si è discusso, non molto per la verità, sull’opportunità di indicare il 12 dicembre 1969 (anniversario della strage di Piazza Fontana a Milano e degli attentati a Roma). Una scelta di questo genere avrebbe evidenziato le responsabilità dello Stato italiano nella «strategia della tensione», nei numerosi episodi di strage avvenuti in Italia fino al 1984 e nell’utilizzo di militanti neofascisti per il compimento di atti terroristici contro civili. Una lettura irriducibilmente conflittuale con la rappresentazione vittimistica che lo Stato italiano fornisce di se stesso rispetto agli «anni di piombo».
Più semplice quindi sostituire la complessità storica con una narrazione ancora una volta autoassolutoria che al posto delle stragi di stato ha preferito ricordare l’attacco al suo presunto cuore.

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