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L’altra resistenza di Isao Fujisawa

L’altra resistenza di Isao FujisawaUna scena da "Bye Bye Love" di Isao Fujisawa

Maboroshi Nei primi anni settanta dello scorso secolo, in molti campi della cultura e delle arti giapponesi, comincia ad emergere un diverso modo di rapportarsi alla politica e ai cambiamenti sociali che sconvolsero l’arcipelago nel decennio precedente.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 settembre 2023

Nei primi anni settanta dello scorso secolo, in molti campi della cultura e delle arti giapponesi, comincia ad emergere un diverso modo di rapportarsi alla politica e ai cambiamenti sociali che sconvolsero l’arcipelago nel decennio precedente. Da un impegno comunitario e più direttamente impegnato nella lotta in luoghi fisici, si passa a forme di resistenza più personali, parcellizzate, ma che spesso privilegiano una visione ecologica e storica più ampia. Semplificando, si potrebbe dire che si parte da una sperimentazione su di sé e sulla propria soggettività, per poi muoversi verso l’esterno e la realtà condivisa.
Nel cinema esistono molti esempi di questa tendenza, si pensi ad esempio a The Man Who Left His Will on Film di Nagisa Oshima del 1970, lavoro che abita i due regni, il documentario Extreme Private Eros di Kazuo Hara del 1974, o ancora tutta l’attività sperimentale di Toshio Matsumoto che con i suoi cortometraggi (su tutti Atman del 1975) cerca di sondare e mettere in discussione il soggetto e la sua percezione. Si inserisce in questo filone, ma apportando una freschezza ed una giocosità mutuata dal cinema europeo e americano del periodo, Bye Bye Love, realizzato da Isao Fujisawa nel 1974. A lungo considerato perduto, nel 2018 il negativo del film fu ritrovato per caso in un magazzino e da questo fu creata una nuova copia che fu successivamente presentata in anteprima all’Underground Cinema Festival, svoltosi nella capitale giapponese nel 2022.

A SETTEMBRE il film è stato reso disponibile per alcune settimane sulla piattaforma dell’organizzazione Collaborative Cataloging Japan, specializzata nel recupero e nella rivalutazione di lavori sperimentali e d’avanguardia del Sol Levante. Un’occasione che ha fatto riscoprire quello che di fatto è una sorta di anello mancante nella storia del cinema giapponese del dopoguerra, perché si tratta di un lavoro estremamente contemporaneo, in quanto affronta tematiche Lgbt e gender fluid, ma anche perché è uno dei più potenti esempi di queer cinema giapponese.
Isao Fujisawa inizia la sua carriera nella settima arte come assistente alla regia presso la Toei e nei capolavori di Hiroshi Teshigahara, La donna di sabbia del 1964 e Il volto dell’altro di due anni dopo. Nel 1972 comincia a girare un lungometraggio in 16mm praticamente da solo e con attori non professionisti, dapprima intitolato Kabuki Boys, il film viene completato nel 1974 cambiando il titolo in Bye Bye Love.

Quello che comincia come una sorta di divertissement in immagini, uno sberleffo cinematografico verso il «cinema» con la C maiuscola e le grandi case di produzioni giapponesi, diventa con il passar dei minuti qualcosa di assai più profondo e tagliente.

CON UNO STILE irriverente, un approccio quasi amatoriale, ma proprio per questo fresco e intenso, e ampi riferimenti visivi a Il bandito delle 11 e a Gangster Story, Fujisawa mette in scena la storia d’amore fra Utamaro e Giko e la loro fuga dalla società giapponese e dalle sue norme. Quello che comincia come una sorta di divertissement in immagini, uno sberleffo cinematografico verso il «cinema» con la C maiuscola e le grandi case di produzioni giapponesi, diventa con il passar dei minuti qualcosa di assai più profondo e tagliente. I due protagonisti infatti cominciano una fuga lungo un Giappone che non sembra accettare le loro soggettività selvagge e fuori dagli schemi, verso un futuro che non è ancora scritto ma è tutto da inventare. Come non è fisso ma in continua sperimentazione il gender di Giko e la sua relazione con Utamaro, il loro amore da carnale si trasforma in platonico, anche attraverso una serie di avventure surreali e ridicole. L’incontro dei due ragazzi con una prostituta e l’uso di cavi elettrici nel loro ménage à trois è, in questo senso, una delle scene che meglio racchiude lo spirito anarchico del lavoro.

matteo.boscarol@gmail.com

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